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UNIVERSITÀ PONTIFICIA SALESIANA

FACOLTÀ DI TEOLOGIA

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Tesi di Dottorato n. 407

EZIO STERMIERI

IL DIALOGO DELL'ECCLESIAM SUAM
NEL MAGISTERO E NELL'AZIONE
DI PAPA PAOLO VI
DURANTE I SUOI VIAGGI INTERNAZIONALI (1964 - 1970)

Estratto dalla Dissertazione Dottorale

ROMA 1998

PRESENTAZIONE

1.     La tesi si è proposta di verificare la continuità del magistero di papa Paolo VI dall'esordio del suo pontificio alla EN, in riferimento alla categoria del dialogo.

Oggetto della verifica, i discorsi dei nove viaggi intercontinentali (1964 - 1970) nel loro aspetto materiale, formale e strutturale. [1]

2.     La ragione dello studio è originata dalla possibilità di offrire un contributo al controverso giudizio sul magistero di papa Paolo, inerente al tema del dialogo, dove opposte tendenze ideologiche concordano nel rilevare una cesura [2] tra un primo atteggiamento (il tentativo di contestualizzare la Chiesa nel mondo) ed un secondo, tendente a chiudere le varie possibilità di dialogo con la cultura contemporanea, con le grandi religioni, all'interno della compagine ecclesiale e, ancor più, all'interno della Chiesa. L'analisi del linguaggio montiniano, fatto di parole, gesti, ma anche di preghiera e simboli, ha invece allineato testi e azioni che testimoniano la fedeltà al programma iniziale, ereditato da Giovanni XXIII e codificato nel Concilio. [3]   A partire dell'evento - concilio e dai testi sinodali, Egli ha proseguito il suo ministero, caratterizzato dalla peculiarità di un dialogo che in prima battuta è di valenza teologica e non strumentale o tattica; di volta in volta, di situazione in situazione, ha assunto l'atteggiamento capace di riformare il suo ministero, la struttura comunionale della Chiesa, il dialogo ecumenico, interreligioso, culturale. [4]

3.     Per una conferma della nozione teologica di dialogo in papa Paolo VI, in riferimento alla continuità, è parso necessario andarlo ad esaminare nell'alveo della formazione culturale, teologica e pastorale degli anni giovanili, nell'esercizio del servizio trentennale presso la Santa Sede e nelle grandi linee dell'episcopato milanese. [5]   Da un nucleo iniziale, tendente a aderire pienamente alla Rivelazione cristiana, rivisitata in termini personalistici, e all'intrinseca esigenza di comunicarla all'uomo contemporaneo, si sviluppa una coscienza che a mano a mano si consolida e si perfeziona, fino ad entrare nell'ES come linea interpretativa dello stesso pontificato, linea conduttrice del Concilio in atto e proposito per l'esercizio del ministero petrino.

Nella parola "dialogo" Egli trova la coscienza che la Chiesa deve avere di sé, la conseguente strategia pastorale di contestualizzazione al mondo, il necessario discernimento per rimanere fedele al dato rivelato che procede nella storia, nella Tradizione del credere, individuato come riserva escatologica che, divenuta dialogo con l'uomo contemporaneo nelle più svariate situazioni culturali e religiose, lo critica e consolida. Non si ravvisa mai, tuttavia, che la singola ideologia o situazione storica possa a sua volta diventare ermeneutica della fede.

L'atteggiamento che la Chiesa deve avere nel dialogo la pone come realtà storica in mutuo scambio con il mondo, dal punto di vista del contenuto che la trascende e di cui è al servizio e non padrona.

Non può scendere a compromessi. Può dialogare sul versante storico del dato rivelato, ma non può rinunciare alla unicità della storicità di Cristo e al destino trascendente della salvezza offerta.

É quanto si potrà constatare nella lettura dell'estratto che segue.

Dall'esperienza montiniana di dialogo inerente al ministero e magistero e dall'uso fatto in un linguaggio che ingloba parola, gesto, simbolo, nell'interazione tra la cultura e fede, tra religioni diverse e tra diversificate interpretazioni dello stesso dato di fede all'interno del pluralismo teologico, pensiamo di offrire qualche contributo per lo studio della teologia.

a. In riferimento al metodo teologico

Anche se non dichiaratamente teologo, Montini lo è di fatto in ragione del suo magistero e non è stato difficile cogliere la teologia che costituisce la trama del suo ministero ed un modo di pensare la fede, che può agevolare chi nella Chiesa ha il compito di aiutare a rendere intelligibile il mistero, cioè il teologo.

Nella prospettiva di questo studio, la categoria che unifica il pensiero montiniano è quello di "dialogo", colta dal Papa all'interno dell'economia dialogica trinitaria, rivelata a noi da Cristo e presentata nel momento storico in cui l'adesione alla fede porta la comunità cristiana a risalire alla coscienza di sé e al mandato di essere per il mondo. Così nell'ES.

Nell'esplicitazione di quel modo di intendere la fede, il dialogo diventa pensiero, azione e strategia della Chiesa, sinergia tra la stessa Chiesa e le altre realtà.

Questa la dinamica. Un primo momento è all'interno della stessa coscienza ecclesiale, dove ogni dato teologico è posto in dialogo con un centro, ravvisato da Montini in Cristo, "principio, guida, via" (29 settembre 1963) della natura, della coscienza, della missione della Chiesa.

Il secondo momento è la necessaria apertura dialogica della Chiesa con l'"altro", sia esso colto nel movimento ecumenico, nei cammini religiosi dell'umanità, nei vari umanesimi e culture.

Il punto focale, Cristo, diventa ermeneutica della parola, del gesto, della via da percorrere con l'altro. In Paolo VI è precisata anche la duplice valenza di questo principio cristologico (la prima storica e la seconda escatologica), condizione indispensabile per non cadere nei tanto deprecati pericoli del sincretismo, eclettismo, relativismo; per non rendere evanescente Cristo, la Chiesa, il Vangelo, la Tradizione... e contemporaneamente per non ricondurli ad una determinata forma storica, snervata del mandato di contestualizzarsi al mondo fino a quando Egli ritornerà.

I risultati di una dialogicità della fede e di una conseguente teologia sono stati da noi allineati su tre possibili acquisizioni:

-  il dialogo conduce ad una sempre maggiore e chiara identità;

- il dialogo guida alla scoperta dei valori intrinsecamente cristiani dell'altro, senza paura del "nuovo" e senza complessi per ciò che deriva dal passato;

-  il dialogo porta alla possibilità di individuare vie comuni da seguire per il bene collettivo nei confronti di un mondo sempre più pluralista e diversificato, senza mai perdere di vista la meta del cammino: la pienezza della verità.

Quanto sintetizzato del pensiero montiniano non ci è parso secondario nel fare teologia, e di fatto si pone nei punti nodali della coscienza, aggiornamento, missione di tutta la Chiesa.

b. In riferimento alla riflessione ecclesiologica

· Circa il ministero di Pietro: apre al dialogo sulla forma di tale esercizio;

· circa la collegialità: pone il criterio primo per interpretarla di natura teologica, pneumatologica e non giuridica o politica;

· circa la struttura comunionale: supera una concezione verticistica, riscoprendo la categoria di ministeri convergenti al "centro";

· circa il dialogo ecumenico: pone la dinamica del ritorno all'unità nella coscienza di ciascuno di convertirsi a Cristo;

· circa il dialogo interreligioso: pone per primo il principio che la religione non divide l'umanità, ma è principio unificante e di pace;

· circa il dialogo con le culture: al di là di quella sedicente atea, di fronte a cui rimane il silenzio, pone Cristo come interpretazione unificante di ogni diversità.

c. In riferimento alla teologia fondamentale

Il dialogo aggiunge un criterio interpretativo all'atto di fede, facendo chiarezza su ciò che è essenziale e ciò che è involucro storico, indicando che cosa del patrimonio storico della fede debba essere conservato.

Se è secondario che i contenuti della fede abbiano questa o quella determinata forma storica, è tuttavia essenziale alla fede la determinazione storica, sia questa di linguaggio, di cultura, d'interpretazione artistica, liturgica...

In ordine alla credibilità della fede, nel pensiero montiniano il dialogo offre alla ragione, modernamente intesa, di essere all'interno del conoscere.

A termine del percorso, ci è parso importante un passo ulteriore rispetto alla concezione del dialogo in Montini, individuato come movimento dal centro alla periferia e viceversa.

Il ministero di Pietro, il servizio della Chiesa al mondo, la testimonianza della cultura cristiana possono suscitare e animare il dialogo tra le differenti realtà incontrate  nel cammino della storia, ponendo così la Chiesa al di dentro dell'areopago umano, in un movimento circolare e ricapitolativo che la riflessione cristologica non può mancare di offrire.

La parte che qui è estratta dalla tesi è proposta per presentare il metodo di lavoro ed illustrarne i risultati.


INDICE GENERALE DELLA TESI

ABBREVIAZIONI E SIGLE

BIBLIOGRAFIA

INTRODUZIONE

PARTE PRIMA - L'ECCLESIAM SUAM  DI PAPA PAOLO VI

CAPITOLO I - G. B. Montini 

CAPITOLO II - L'Ecclesiam Suam di papa Paolo VI. Il suo influsso sul concilio ed esempi della sua ricezione

CAPITOLO III - I destinatari del dialogo dell'ES

CONCLUSIONE DELLA PRIMA PARTE

PARTE SECONDA - LA PRESENZA DELL'ECCLESIAM SUAM  NEI VIAGGI INTERCONTINENTALI

INTRODUZIONE 

CAPITOLO I - 1964-1970: I nove viaggi intercontinentali di papa Paolo VI

CAPITOLO II - La continuità dell'Ecclesiam Suam nei discorsi dei viaggi intecontinentali

CAPITOLO III - Missione, gesto e dottrina nei viaggi di papa Paolo VI

CONCLUSIONE DELLA SECONDA PARTE

CONCLUSIONE GENERALE

INDICE PARTICOLAREGGIATO


ABBREVIAZIONI E SIGLE

AAS    Acta Apostolicae Sedis

ACLI    Associazione Cristiana Lavoratori Italiani

Adh.    Adhortatio Apostolica

All.   Allocutio

Ang.    Angelus

DV    Dei Verbum

Enc.    Encyclica

EN    Evangelii Nuntiandi

ES    Ecclesiam Suam

FAO    Food and Agriculture Organization

FUCI    Federazione Universitaria Cattolica Italiana

GS    Gaudium et Spes

Hom.    Homilia

Insegnamenti Insegnamenti di Paolo VI (1963-1978). I-XVI (Città del Vaticano 1963-1978).

LG    Lumen Gentium

NRad.    Nuntius Radiophonicus

NSc.   Nuntius Scripto Datus

OIT    Organisation Internationale du Travail

ONU    Organizzazione Nazioni Unite

s. d.    sine data

Ud.   Udienza generale

UR    Unitatis Redintegratio



Parte seconda

Capitolo II

LA CONTINUITA' DELL'ECCLESIAM SUAM

NEI DISCORSI DEI VIAGGI INTERCONTINENTALI

            Il proposito di mettere in luce la continuità dell'insegnamento di papa Paolo VI tra l'Enciclica programmatica del pontificato e il suo sviluppo, con particolare riferimento ai momenti significativi tra il 1964 e il 1970, costituita dai viaggi intercontinentali, approda al suo momento saliente.

            La continuità è individuata, dove è stato possibile, dai riferimenti testuali espliciti (non molti per il vero!), ma ancor più, come è avvenuto per i documenti conciliari, per il rimando tematico: il dialogo, gli interlocutori, i contenuti stessi di questo stile operativo intra ed extra ecclesiale, senza tralasciare di evidenziare la personalità stessa di papa Paolo VI che, facendosi itinerante, rivela con parole e comportamenti che cosa di suo proprio arrechi a questa categoria interpretativa di sempre della Missione Evangelizzatrice, santificatrice e umanitaria della Chiesa.

            Alla raccolta dei testi è seguita, dove era necessaria, la traduzione e la classificazione tematica ricalcata dal dettato dell'ES. In ogni viaggio abbiamo ricercato la struttura della prima Enciclica: di seguito affidiamo a questo studio il risultato.

Il dettato risulta ricco e prolungato nei testi, ma indispensabile ai fini di illustrare la continuità tematica strutturale ed addirittura lessicale tra l'ES ed i testi dei discorsi dei nove viaggi intercontinentali. Il confronto tra i due momenti ha offerto l'occasione di puntualizzazioni in campo teologico, che via via abbiamo evidenziato.

1. IL PELLEGRINAGGIO IN TERRA SANTA

            La decisione eclatante del pellegrinaggio in Terra Santa, annunciata a ridosso della sessione conciliare del 1963, aprì un'epoca nuova e diede luogo ad un'infinità di letture: rottura della prigione del Vaticano, ritorno alla semplicità delle origini, incontro con i cristiani d'Oriente, messaggio di pace, contatto con gli Ebrei e con l'Islam. Il tutto di una importanza bisognosa di tempo per essere valutata compiutamente in ogni dimensione e sulla quale papa Paolo VI ebbe a insistere, facendo riferimento all'accoglienza delle folle, all'incontro dei fratelli orientali con il bacio simbolico di pace ad Athenagoras. La giornata israeliana, dove il papa evitò con fatica di incappare in qualche trappola diplomatica, dimostrò quella che J. C. Eslin definì "la capacità cristiana di distinguere" la storia santa dalla Terra Santa. I discorsi tenuti in territorio arabo o israeliano evidenziano quest'attenzione, sottolineata dalle metafore: l'uso del passato e il riconoscimento della realtà attuale, espressioni allusive come "concordia tra tutti i popoli", "il nostro prossimo ... non è solo il nostro fratello cristiano" evocano i grandi temi dell'ES e ne costituiscono una autentica attuazione.

1.1. Alla partenza da Roma

            Il primo testo in esame, apparentemente occasionale, alla partenza da Roma, contiene in sé gli elementi costitutivi l'ES da noi esaminati.

            Il primo orizzonte è la Chiesa: tutti gli uomini.

«Ci sentiamo obbligati, prima di intraprendere il Nostro pellegrinaggio in Terra Santa, di rivolgere una parola di omaggio [...] a tutti gli uomini di buona volontà che guardano a Noi in quest'ora particolarmente significativa». [6]

     Il pellegrinaggio è visto nella sua dimensione simbolica come il ricupero della coscienza della Chiesa nel suo riferimento a Cristo e al contenuto della Rivelazione:

«E' stato detto giustamente che il successore del primo degli apostoli ritorna dopo venti secoli di storia là, da dove Pietro è partito, portatore del messaggio cristiano. E di fatto vuol essere il nostro un ritorno alla culla del Cristianesimo, ove il granello si senape dell'evangelica  similitudine ha messo le prime radici, estendendosi come albero frondoso, che ormai ricopre con la sua ombra tutto il mondo (cfr. Mt.  13, 31), una visita orante ai luoghi della vita, Passione e Risurrezione di Nostro Signore». [7]

     Il fine di questo ricupero è un aggiornato impulso alla missione evangelizzatrice della Chiesa

«E' un pellegrinaggio di preghiera o di penitenza, per una partecipazione più intima e vitale ai Misteri della redenzione e per proclamare sempre più alto davanti agli uomini, come annunziammo nel nostro Messaggio Urbi et Orbi, che solo il vangelo di Gesù è la salvezza aspettata e desiderata: "poiché non c'è sotto il cielo altro nome dato agli uomini, grazie al quale abbiamo ad essere salvati (Act. 4, 12)». [8]

            Il dialogo con Dio, che formerà la trama dei giorni del pellegrinaggio, sarà sorgente e metodo del dialogo che la Chiesa ha il mandato di intessere con l'umanità, attraverso le stesse forme di dialogo individuato nell'ES:

«In questi giorni, in cui la Liturgia Sacra ricorda il Principe della Pace, Noi chiederemo a Lui di dare al mondo questo dono prezioso, e di consolidarlo sempre più fra gli uomini, nelle famiglie, tra i popoli. Presentiamo a Cristo la sua Chiesa universale, nel suo proposito di fedeltà al Comandamento dell'amore e dell'unione, da Lui lasciatole come suo estremo mandato. Porteremo sul Santo Sepolcro e nella Grotta della Natività i desideri dei singoli, delle famiglie, della nazioni; soprattutto le aspirazioni, le ansie, le pene dei malati, dei poveri, dei diseredati, degli afflitti, dei profughi, di quanti soffrono, di coloro che piangono, di coloro che hanno fame e sete di giustizia. In questo momento, in cui stiamo per affidarci alle vie ampie del cielo, il Nostro pensiero si rivolge a tutti i popoli, inviando un saluto di prosperità e di benessere. In particolare, ricordiamo i popoli dell'Oriente a cui più vicino ci accosteremo, o che Ci saranno presenti per tutto l'arco del Nostro viaggio». [9]

1.2. Betlemme: Cristo, la Chiesa e il mondo

            Il secondo testo in esame, il discorso di Betlemme, con ancora più evidenza dell'ES ricalca la struttura di pensiero, anticipando in qualche modo i contenuti.

            I tre punti: "Noi vorremmo rivolgerci semplicemente prima di tutto a Cristo, poi alla Chiesa, infine al mondo" [10] , sono correlativi alle tre parti dell'ES inerenti alla coscienza della Chiesa in rapporto al mandato che le è intrinseco e al dialogo con il mondo, come nuova via per raggiungere i destinatari della missione

            Il Cristocentrismo ecclesiologico:

«A Cristo in questa festa dell'Epifania che riveste il doppio aspetto della manifestazione di Dio e dell'appello dei popoli alla fede, Noi presentiamo con cuore umile e modesto, ma sincero e gioioso, l'offerta della nostra fede, della nostra speranza e del nostro amore. Solennemente Noi gli rivolgiamo a nostra volta, la professione di fede di Pietro: "Tu sei il Cristo il figlio del Dio vivente" (Mt. 16, 16). Noi gli diciamo ancora come Pietro: "Signore, da chi andremo? Tu solo possiedi le Parole della Vita Eterna" (Gv. 6, 60). Noi facciamo ancora nostro il grido di rimpianto e la confessione sincera di Pietro "Signore tu sai tutto, tu sai che noi ti amiamo" (Gv. 21, 17)». [11]

            Nelle tre citazioni valutiamo le tre rappresentanze che sente di impersonare il Papa: Pietro, la Chiesa, l'umanità. Insieme formano la globalità della Chiesa nella guida, nell'appartenenza, nell'orizzonte universale della chiamata.

«Ai suoi piedi, come una volta i Re Magi, Noi depositiamo qui i doni simbolici, riconoscendo in Lui, Verbo di Dio fatto carne e l'uomo, figlio della santissima vergine Maria, Nostra Madre, il primogenito dell'Umanità. Noi lo salutiamo come il Messia, il Cristo, il Mediatore unico e insostituibile tra Dio e gli uomini, il Sacerdote, il Maestro, il re, Colui che era, che è e che viene.

E' questa stessa confessione che proclama oggi la Chiesa di Roma; questa Chiesa fu quella di Pietro e che Tu stesso hai fondato Signore, su questa stessa pietra, che è, per questo fatto, la tua Chiesa.

Ed ecco perché oggi ancora la tua Chiesa si prolunga attraverso la successione apostolica ininterrotta dalle origini; questa Chiesa, Tu la segui e la difendi, Tu la purifichi e la fortifichi; Tu sei la sua vita, o Cristo della Chiesa di Roma!». [12]

            Sottolineiamo la prospettiva ecumenica di questa professione di fede; quanti si riconoscono nella confessione di fede in Cristo, professata dalla Chiesa di Roma, sono infatti invitati a superare le divisioni storiche, per formare l'unica Chiesa che professa l'unica fede.

«Questa professione Signore, è quella di tutta la tua Chiesa che tu vuoi e rendi una, santa, cattolica ed apostolica. Tutti i pastori, i sacerdoti, tutti i religiosi e i fedeli, tutti i catecumeni della tua Chiesa universale ti presentano con noi, questa stessa professione di fede, di speranza e di amore. Tutti accogliamo la tua umiltà e confessiamo la tua grandezza; tutti ascoltiamo la tua parola e aspettiamo il tuo ritorno alla fine dei tempi. Ti ringraziamo tutti, Signore, di averci salvati, elevati alla dignità di figli di Dio, di aver fatto di noi i tuoi fratelli e di averci colmati dei doni dello Spirito Santo. Tutti ti promettiamo di vivere da Cristiani in uno sforzo di docilità continua alla tua grazia e di rinnovamento dei costumi. Ci sforzeremo tutti di diffondere nel mondo il tuo messaggio di salvezza e di amore». [13]

            Ancora viene rilevata l'importanza della coscienza e del rinnovamento della Chiesa:

«Davanti a questo presepio Signore, noi vogliamo poi rivolgere la Nostra parola alla Chiesa alla testa della quale Tu hai voluto scegliere la nostra povera persona come pastore universale. Questa parola, eccola, semplicemente: che la Chiesa di Cristo voglia essere oggi con Noi e associarsi all'offerta che anche in nome suo Noi presentiamo al Signore. In questa comunione sta la sua efficienza, la sua dignità, e la sua armonia con questi tratti che autenticano la tua Chiesa, Noi viviamo l'ora storica in cui la Chiesa di Cristo deve vivere la sua unità profonda e visibile. E' l'ora per noi di rispondere al voto di Gesù Cristo: "che siano perfettamente uno e che il mondo riconosca che Tu, Padre, mi ha i mandato" (Gv. 17, 23) All'unità interna della Chiesa corrisponde quella esterna, la sua forza apologetica e missionaria.

Noi dobbiamo terminare il nostro Concilio Ecumenico,  dobbiamo assicurare alla vita della Chiesa un nuovo modo di sentire e di comportarsi, farle ritrovare una bellezza spirituale sotto tutti gli aspetti: nel campo del pensiero e della parola, nella preghiera e nei metodi di educazione, nell'arte della legislazione canonica». [14]

            Parole vengono anche pronunciate riguardo al dialogo interno, ecumenico, come forza propulsiva della Chiesa:

«Ci vorrà uno sforzo unanime al quale tutti i raggruppamenti dovranno portare la loro collaborazione. Che ciascuno senta l'appello che gli rivolge Cristo attraverso la nostra voce. Questo lo diciamo ai cattolici che appartengono già all'ovile di Cristo. Ma noi non possiamo non rivolgere lo stesso invito ai Fratelli Cristiani che non sono in comunione perfetta con noi. Risulta ormai chiaramente a tutti che non si può eludere il problema dell'unità; oggi questa volontà di Cristo si impone ai nostri spiriti e ci impone di intraprendere con saggezza e con amore tutto ciò che è possibile per permettere a tutti i cristiani di fruire del grande beneficio e del supremo cuore dell'unità della Chiesa. Anche nelle circostanze particolarissime in cui ci troviamo oggi, noi dobbiamo dire che tale risultato non può essere ottenuto a scapito della verità della fede. Non possiamo essere infedeli a questo patrimonio di Cristo; non è nostro ma suo; ne siamo solo i depositari e gli interpreti. Ma, ripetiamolo ancora, noi siamo disposti a prendere in considerazione ogni mezzo ragionevole capace di spianare le Vie del Dialogo, nel rispetto e nella carità, in vista di un incontro futuro, e voglia Dio che sia leale e cordiale.

Il desiderio è forte e paziente, il posto disponibile è largo e confortevole. Il passo da fare è atteso con tutto il nostro affetto e può essere compiuto con onore e nella gioia reciproca. Noi ci asterremo dal sollecitare degli approcci che non sarebbero liberi e pienamente convinti, vale a dire mossi dallo Spirito del Signore, che soffierà dove e quando Egli vorrà. Aspetteremo questa ora beata. Noi chiediamo per il momento ai Nostri Carissimi Fratelli separati soltanto ciò che noi proponiamo a noi stessi, che l'amore di Cristo e della Chiesa ispiri ogni iniziativa di riavvicinamento e di incontro. Noi faremo sì che il desiderio di intesa e di unione rimanga vivo e inalterato; noi riporremo la nostra fiducia nella preghiera. Anche se ancora non è comune, questa può essere almeno simultanea e salire parallelamente dai nostri cuori, come da quelli dei cristiani separati per riunirsi ai piedi dell'Altissimo, il Dio dell'unità». [15]

            Emerge nitido l'ecumenismo di papa Paolo VI. Se i fratelli separati, per ricostruire l'unità della fede, della carità, della disciplina, devono operare un ritorno verso la Chiesa di Roma, identificata come la Chiesa voluta da Cristo, i cattolici devono richiedere a se stessi quello spirito di carità (che la storia ha attuato) e quella obbedienza allo Spirito, che suggerisce le iniziative di riavvicinamento e di incontro. Lo Spirito dell'Ecumenismo è la Carità di Cristo stesso.

            Altrettanto intensa è l'attenzione sul dialogo rivolto al mondo:

«Vogliamo infine in questo luogo benedetto e in questa ora particolarissima rivolgere qualche parola al mondo. Per "mondo" noi intendiamo designare tutti coloro che guardano al cristianesimo, come da fuori, che siano o che si sentano nei suoi confronti come degli estranei.

Noi vorremmo prima di tutto presentarci, ancora una volta a questo mondo in mezzo al quale ci troviamo. Siamo i rappresentanti e i promotori della religione cristiana. Noi abbiamo la certezza di promuovere una causa che viene da Dio,  siamo i discepoli, gli apostoli, i missionari di Gesù, figlio di Dio e figlio di Maria, il Messia, il Cristo. Siamo i continuatori della missione, gli araldi del suo messaggio, i ministri della sua religione che sappiamo possedere tutte le garanzie divine di verità. Noi non abbiamo altro interesse se non quello di annunciare la nostra fede. Non chiediamo niente se non la libertà di professare e proporre (a chi vuole in tutta libertà accoglierla) questa religione, questo legame nuovo tra gli uomini e Dio, tramite Gesù Cristo il nostro Signore». [16]

Il "biglietto da visita", l'apertura del dialogo così come suona, senza mediazioni culturali o ideologiche, senza compromessi, sembra evocare un avvertimento alla Chiesa o a quella parte di essa che non riesce a superare lo stadio della preevangelizzazione. Per papa Paolo VI invece, il bene che deriva al mondo dalla presenza del cristianesimo e dal suo annuncio, è strettamente legato agli avvenimenti storici di Gesù di Nazareth e al Kerigma, che li raccoglie e trasmette.

«Noi vogliamo in seguito aggiungere un altro punto che preghiamo il mondo di voler considerare lealmente. Si tratta dello scopo immediato della nostra missione e che è il seguente: noi desideriamo lavorare per il bene del mondo, per il suo interesse, per la sua salvezza. E noi stimiamo anche che la salvezza che noi gli offriamo, gli è necessaria. Questa affermazione ne implica molte altre. Ecco: Noi guardiamo al mondo con un'immensa simpatia. Se il mondo si sente estraneo al cristianesimo, il Cristianesimo non si sente estraneo al mondo, quale che sia l'aspetto sotto il quale quest'ultimo si presenta e quale che sia l'atteggiamento che egli adotta nei suoi confronti». [17]

            E' dunque chiarito che il dialogo, prima di essere un possibile e auspicabile atteggiamento tra le due parti, è un dovere che la Chiesa trova dentro di sé, nella natura della Missione che la costituisce e caratterizza.

«Che il mondo lo sappia dunque: i rappresentanti e i promotori della religione cristiana hanno stima nei suoi confronti e lo amano di un amore superiore ed inesauribile. L'amore che la fede cristiana mette nel cuore della Chiesa, la pone a servizio e mediazione dell'amore immenso e meraviglioso di Dio nei riguardi degli uomini. Questo vuol dire che la missione del cristianesimo è una  missione di amicizia tra i popoli della terra, una missione di comprensione, di incoraggiamento, di promozione, di elevazione, e, diciamolo ancora una volta, una missione di salvezza». [18]

            Il discorso del Papa diventa dialogo apologetico, si fa catechesi e predicazione, nell'intento di spiegare al mondo come Gesù Cristo, il suo messaggio, la sua continuazione storica nella Chiesa sia basilare:

«Non esiste valore [...] non esiste sofferenza [...] non esiste bisogno [...] che non sia stato assunto da Lui e che non viva oggi nella sua Chiesa». [19]

            Su questa roccia è fondato e trova ragione il dialogo da iniziare o da recuperare:

«Noi lo rivolgiamo in modo particolare a chiunque professi il monoteismo e con noi renda un culto religioso all'unico e vero Dio, il Dio vivente e supremo, il Dio di Abramo, l'Altissimo [...] il Dio altissimo creatore del cielo e della terra (Gen. 14, 19) [...] Il nostro saluto si rivolge similmente a tutti i popoli  [...] con un invito a condividere l'universalismo e un fermento capace di far crescere la civilizzazione  [...] [20] Vogliamo raggiungere tutti gli uomini di buona volontà, ivi compresi gli uomini che per il momento non testimoniano nessuna benevolenza per la religione di Cristo, che si sforzano di impedire la diffusione e di combatterne i fedeli». [21]

E il tono del Papa si fa drammatico come nell'ES:

«Anche ai persecutori del cattolicesimo e ai negatori di Dio e di Cristo noi mandiamo il nostro ricordo triste e doloroso e serenamente chiediamo loro: perché, perché?». [22]

1.3. Agli orientali di rito cattolico

            Rivolgendosi alle comunità cattoliche dei riti orientali, sorprendentemente ancora una volta, anticipa il cristocentrismo ecclesiologico che sarà proprio dell'ES:

«Il luogo della vita, della passione e della risurrezione del Signore è infatti quello in cui è nata la Chiesa». [23]

Rifacendosi alla storia della diffusione del Vangelo, enuclea la Teologia dell'unità nella diversità:

«Fu dapprima in Palestina che gli Apostoli fondarono la loro fede in Gesù Cristo e che installarono delle Chiese. Poi partirono per tutto il mondo annunciarono per tutto il mondo la stessa dottrina e la stessa fede (Tertulliano). Ogni nazione riceveva il buon seme della loro predicazione nella mentalità e nella cultura che le erano proprie. Ogni Chiesa locale cresceva con la propria personalità, con i propri costumi, il proprio modo di celebrare gli stessi misteri, senza che questo nuocesse all'unità della fede e alla Comunione di tutti, nella carità e nel rispetto dell'ordine stabilito da Cristo. Di qui nasce l'origine della nostra diversità nell'unità, della nostra cattolicità, caratteristica che fu sempre essenziale alla Chiesa di Cristo e di cui lo Spirito Santo ci dà occasione di fare un'esperienza nuova nella nostra epoca e nel Concilio». [24]

            Ora, questa "dialogicità" all'interno della stessa unità della Chiesa, che ne costituisce la coscienza, riportata a tema e aggiornata dal concilio, è la dinamica di quella circolarità del dialogo che arriva a tutti, perché messa in azione dalla stessa carità -che è Dio- generatrice di Comunione:

«Fra di noi cattolici prima di tutto, manifestiamo questa unità che è nostra, il più possibile con una collaborazione senza rivalità, interamente al servizio della Chiesa e unicamente preoccupata del bene dei fedeli. Manifestiamo il più possibile l'unità; benché incompleta e ferita esiste già con i nostri fratelli cristiani [...] Non hanno forse lo stesso battesimo, la stessa fede fondamentale, lo stesso sacerdozio celebrando l'unico sacrificio dell'Unico Signore della Chiesa? Non dimentichiamo infine che il nostro prossimo, quello che dobbiamo amare come noi stessi non è solo il nostro fratello cristiano. Che il Signore dia a tutti noi di vivere della carità, di farla regnare su questa terra dove l'amore e la bontà di Dio si sono manifestati con la più grande prova d'amore: " consegnare la propria vita per quelli che si ama"». [25]

1.4. Il dialogo ecumenico

A proposito del dialogo ecumenico, è da registrare l'incontro con i Dignitari delle Comunità Cristiane dell'oriente. Al di là del momento contingente, quattro importanti coordinate sono offerte al dialogo ecumenico: la collaborazione nel bene, l'orientamento a Cristo, la riconciliazione con la sua Croce, l'amore di Dio come segno di riconoscimento cristiano.

«Abbiamo anche osservato con gioia che un'atmosfera di franca collaborazione regnava tra la sua comunità, la comunità cattolica e quella armena per i lavori di restauro della chiesa del Santo Sepolcro. Questo Santuario è il più prezioso che ci sia al mondo per dei cuori cristiani. E' infatti il luogo stesso dove Dio ha "voluto riconciliare in sé tutte le cose attraverso il Cristo lavandole pacificamente con il sangue della Sua Croce " (Col. 1, 20), dove Cristo, risuscitando glorioso, è diventato il principio della nostra vita, la garanzia della nostra risurrezione, il capo unico in cui tutto deve essere riepilogato (Ef. 1, 10). E' altamente simbolico che malgrado il peso della storia e delle numerose difficoltà, i cristiani, disgraziatamente separati, lavorino insieme a restaurare questo tempio che avevano costruito nell'unità e che le loro divisioni lasciavano andare in rovina. E' il nostro augurio più caro che sempre di più regni tra di noi la verità vera, una carità senza inganno, quella che era il segno con il quale nell'Antica Chiesa si riconoscevano i discepoli di Cristo: "vedete come si amano?». [26]

1.5. Agli abitanti di Gerusalemme: Ebrei e Musulmani

            Entrando in Gerusalemme e rivolgendosi alle folle che lo stringono, le ravvisa, come qualche mese più tardi nell'ES, come interlocutori del dialogo

«Agli abitanti di Gerusalemme (Ebrei e Musulmani), noi diciamo la nostra stima per il loro spirito religioso, per le loro nobili tradizioni di cortesia e di ospitalità [...], Noi li invitiamo ad innalzare con Noi le loro mani e i loro cuori al cielo per fare scendere sulla loro Santa città, l'abbondanza delle benedizioni divine». [27]

Rivolgendosi ai Cattolici e ai Fratelli separati:

«Ai nostri figli cattolici e a tutti coloro che si onorano del nome di Cristiani, noi diciamo: "entrate con noi nello Spirito di questo pellegrinaggio. Venite con noi a mettere i Vostri passi nelle orme di quelli di Cristo, a salire con Lui al Calvario, a venerare per sempre la tomba gloriosa da dove è uscito pieno di vita dopo aver vinto la morte e riscattato il mondo. Venite con noi a offrirgli la Santa Chiesa nei luoghi stessi in cui ha versato il suo sangue per Lei. Imploriamo insieme la grazia così tanto desiderata dell'unione tra tutti i discepoli del vangelo"». [28]

Sottolineiamo ancora una volta il riferimento a Cristo, sia per la definizione di Chiesa, sia per l'ecumenismo posto in atto.

«E a tutti noi diciamo: chiedete con noi, con tutti i vostri voti e con le vostre preghiere, la concordia e la pace su questa terra, unica al mondo, che Dio ha visitato. Chiediamo qui insieme la Grazia di una fraternità vera e profonda fra tutti gli uomini, fra tutti i popoli». [29]

1.6. Ancora agli Ebrei

            Ancora un testo ci pare degno di menzione in riferimento al dialogo, quello con gli Ebrei:

«Noi vorremmo che le nostre prime parole esprimessero tutta l'emozione che proviamo con i Nostri occhi e nel calcare con i Nostri passi questa terra dove vissero una volta i patriarchi, i Nostri padri della fede, questa terra che ha risuonato per tanti secoli della voce dei profeti che parlavano nel nome di Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, questa terra infine soprattutto che la presenza di Gesù Cristo ha reso per sempre benedetta e sacra per i cristiani e si può dire, per l'intero genere umano [...] Da questa terra unica al mondo per la grandezza degli avvenimenti di cui è stata teatro, la nostra supplica si innalza a Dio per tutti gli uomini credenti e non credenti e ci includiamo volentieri i figli del "popolo dell'Alleanza" di cui non si può dimenticare il ruolo nella storia religiosa dell'umanità». [30]

A pochi mesi (6 agosto 1964) dalla pubblicazione dell'ES, i testi dei discorsi della Terra Santa (3-6 gennaio 1964) risentono fortemente nella struttura, nelle tematiche e nello stile della prima enciclica. E' evidente come papa Paolo VI ci stia lavorando e come, nel discorso dell'apertura della 2° Sessione del concilio (29 settembre 1963), anticipi ciò che è nel suo cuore e nei suoi propositi.

            Qui l'anticipazione è nel linguaggio dei gesti e dei segni che poi la parola dell'Enciclica spiegherà.

            Raccogliamo, in riferimento al dialogo, la profonda coscienza che papa Paolo VI ha del ministero che ha accettato: la responsabilità nel riportare la Chiesa alla coscienza di sé in riferimento al principio generante, Cristo; l'urgenza che la Chiesa si contestualizzi alla storia in un nuovo spirito e in una nuova lettura dei tempi; il dovere di entrare in dialogo con il mondo innanzi tutto, per mostrare come il messaggio cristiano gli sia connaturale e sia rispondente alla necessità radicale di salvezza; la sollecitudine ecumenica, pronta a verificarsi nella prassi e in una rinnovata capacità di vivere tempi diversi della storia delle Chiese, verso l'unità che è dono dello Spirito; un linguaggio nuovo, che ricupera la freschezza della Bibbia e si pone immediatamente oltre le barriere della storia con le sue divisioni, capace di entrare in dialogo con l'interlocutore e di gettare piattaforme nuove di intesa; l'entusiasmo, infine, che la cronaca di quell'avvenimento registra, comunica qualcosa di più dell'unità del successore di Pietro ritornato alla culla del cristianesimo.

            Noi vi abbiamo ravvisato il bisogno dell'uomo del Dialogo della Salvezza che Dio offre in Cristo e di cui la Chiesa, a partire dal Papa, è mediatrice.

2. IN INDIA PER IL CONGRESSO EUCARISTICO INTERNAZIONALE

            Pochi mesi prima del viaggio in India, 2 dicembre 1964, nell'ES, papa Paolo VI aveva affermato:

«Non vogliamo rifiutare il nostro rispettoso riconoscimento ai valori spirituali e morali delle varie confessioni religiose non cristiane; vogliano esse promuovere e difendere gli ideali che possono essere comuni nel campo della libertà religiosa, della fratellanza umana, della buona cultura, della beneficenza sociale e dell'ordine civile. In ordine a questi comuni ideali un dialogo da parte nostra è possibile e non mancheremo di offrirlo là dove, in reciproco e leale rispetto, sarà benevolmente accettato» (ES 60). [31]

            I discorsi presi in esame nel contesto di questo pellegrinaggio, il secondo del 1964, sono il tentativo di una continuità che interpella la teologia ed il comportamento della Chiesa verso le grandi religioni e culture non cristiane.

2.1. Gli intenti del viaggio

            Già la dichiarazione degli intenti nell'intraprendere il nuovo viaggio enuclea, nella continuità, il pensiero di papa Paolo VI:

«Il Nostro viaggio non ha altro intento che quello di una religiosa testimonianza a Cristo Signore, Re immortale, che vede raccogliersi in Bombay le folle credenti del mondo intero. E' ancora un viaggio di pace e di amore che vuole unire in più stretti legami di mutua comprensione e di amicizia tutte le genti rendendole sempre più consapevoli dell'interminabile dovere di conoscersi secondo i doni ricevuti in varia misura da Dio, non destinati a poche nazioni, ma creati per tutta la famiglia umana; è infine, il Nostro, un viaggio di amicizia e di fratellanza che Ci offre la desiderata occasione di conoscere più da vicino un popolo immenso, che tanto stimiamo per la sua interiore religiosità, per la sua innata nobiltà, per la sua civiltà artistica e culturale che raggiunge le vette più alte dello spirito umano e a cui la verità evangelica può conferire una pienezza e una validità insospettabili ed universali. Andiamo verso un popolo che pur conservando intatti i tesori del suo passato è proteso altresì verso le conquiste coraggiose del futuro, per il raggiungimento del benessere, della prosperità, del progresso sociale». [32]

            Registriamo la fiduciosa possibilità di una inculturazione del cristianesimo, nella certezza che il risultato vada a beneficio spirituale e sociale dell'interlocutore del dialogo, il mondo indiano in questo caso, e ad una nuova responsabilità ed impulso alla Chiesa e alla sua Missione, come nella seguente omelia:

«Appena alziamo lo sguardo sulla grande moltitudine qui radunata  [...] tornano alla mente con spontaneità le parole di Nostro Signore: "vi dico che molti verranno da Oriente e da Occidente e si rallegreranno con Abramo, Isacco e Giacobbe nel Regno dei Cieli". Benché noi non siamo ancora arrivati a questa felice comunione [...] noi ci rallegriamo per il fatto che la loro promessa sia visibilmente manifestata nell'Assemblea di questo giorno  [...] Molte tradizioni e culture sono qui rappresentate, ma l'Eucarestia che è stata celebrata è una, ed è l'unica che rappresenta e costituisce l'unità di tutta l'umanità con Dio in Cristo Gesù». [33]

            Il dialogo è riportato qui nel disegno salvifico di Dio rivelato in Gesù Cristo e specificatamente nel mistero pasquale, mistero di unità.

«La liturgia che abbiamo oggi celebrato deriva da antica tradizione della Chiesa. Prima di tutto ci circonda con forza il fatto che la cristianità è stata presente in questa grande terra dai tempi degli apostoli attraverso le venerabili tradizioni portate dalla Palestina, la terra del Signore». [34]

            Notiamo l'avverata necessità di radicare nella storia, nella tradizione, nella Chiesa il trasmettere l'evento pasquale della salvezza che andrà innestandosi nelle varie culture.

2.2. La Chiesa Cristiana dell'India

«Attraverso i secoli che spesso sono stati difficili, essi ( i cristiani) hanno mantenuto la loro vitalità e forza così che oggi sono una viva testimonianza del sempre giovane vigore del Vangelo di Cristo. I secoli che si sono susseguiti hanno portato nuovi contributi alla vita cristiana di questo paese. Il grande santo Francesco Saverio venne seguito da molti altri ferventi apostoli di varie culture che portarono il messaggio di pace di Cristo e la riconciliazione con Dio. [...] La pluralità di queste tradizioni è una viva testimonianza della cattolicità della Chiesa di Cristo che è allo stesso tempo per tutti gli uomini, abbraccia tutte le culture e può inoltre esprimere in modo originale la verità e la bellezza che esiste in ogni cultura. [...] La fedeltà alle vostre tradizioni vi aiuterà a conservare in numerosi legami ciò che c'è di buono e genuino nel passato e inoltre rafforzerà e conserverà legami con coloro che condividono queste tradizioni ma che sono in piena comunione con la Chiesa Cattolica. In spirito di fedeltà e carità mediante la reciproca cooperazione senza alcun spirito di contesa, voi potete contribuire gradatamente alla costruzione dell'Unità dei cristiani che vivono e lavorano insieme, fianco a fianco. Ma questa fedeltà non può essere una morta venerazione del passato. Deve essere unita ad un vivo adattamento ai bisogni della vostra gente perché questa a sua volta possa offrire un positivo contributo alla vita culturale e spirituale del paese. In questa felice unione di fedeltà e adattamente (ritornano i primi due capitoli dell'ES) [...] risiede la promessa di una genuina testimonianza di Cristo e del suo Vangelo (il dialogo) in questa amata terra di India, così ricca di vita religiosa e nell'impiego spirituale». [35]

2.3. Il dialogo con le altre religioni

            Da questa consapevolezza prende avvio il dialogo sui beni comuni, come la pace.

«Noi abbiamo voluto ringraziare questo paese tanto prestigioso, il quale, non possiamo dimenticare, si è aperto prestissimo alla predicazione del Vangelo e conta delle comunità cristiane che sono tra le più antiche e venerabili. Noi siamo dunque venuti innanzitutto come pellegrini sulle tracce dell'apostolo San Tommaso e del glorioso San Francesco Saverio  [...]Ma siamo venuti anche per manifestare la stima, il rispetto e l'amore che la Chiesa Cattolica porta alle popolazioni del Continente Asiatico, alle loro culture e alla loro così profonda religiosità.  In questo paese che nutre da molto tempo una nobile tradizione di non violenza ci fa pensare che il nostro pellegrinaggio rivestirà anche un valore di segno in favore della pace». [36]

Il concilio nella Nostra Aetate (n. 2) farà sua la "stima" verso le religioni:

«La Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni. Essa considera con sincero rispetto [...] quelle dottrine che  [...] riflettono non raramente un raggio della verità che illumina tutti gli uomini».

2.4. Fondamenti teologici

            Questione non secondaria della teologia delle religioni non cristiane è se si possa parlare di "rivelazione" in tali religioni.

            L'interrogativo non può trovare risposta che a partire dalla natura specifica della rivelazione cristiana che, come ricorda bene R. Latourelle, « non è una gnosi, un sapere ermetico, caduto dal cielo, riservato ad alcuni iniziati e senza un legame con la storia umana». [37]

            Al di là di certa teologia tendente a considerare più l'aspetto dottrinale (verbo), lasciando in secondo piano la stima e il carattere personale della rivelazione (gesta), Latourelle ricorda che il Vaticano II (Dei verbum 2) preciserà che essa si realizza

«Per mezzo di eventi e parole intrinsecamente connessi tra loro (fit gestis verbisque intrinsece inter se conexis) in modo che le opere compiute da Dio nella storia della salvezza manifestino e rafforzino la dottrina e le realtà significate dalle parole, e le parole proclamino le opere e chiariscano il mistero in esse contenute» [38] (DV 2). Continua R. Latourelle: «[...] dire che Dio si rivela per mezzo di avvenimenti e parole, equivale a dire che Dio interviene veramente nella storia, ma per mezzo di mediazioni: mediazione degli avvenimenti della storia umana e mediazione dei testimoni autorizzati per interpretare tali avvenimenti. Dio entra in comunicazione con l'uomo, ma per la mediazione della storia e del linguaggio. La rivelazione è quindi l'automanifestazione di Dio e del suo disegno di salvezza nel campo della storia e per la mediazione di una storia significante, autenticamente interpretata». [39]

            Paolo VI riconosce, come stiamo per vedere, che la grande religione induista che sta incontrando è via storica alla pienezza della Rivelazione autentica cristiana.

            Le tradizioni religiose sono vie alla salvezza e quanto c'è in loro di vero e santo conduce alla pienezza della verità e santità che è Cristo ed Egli lo ribadisce, affermando anche che la realtà che sta incontrando non è in contrasto con il messaggio di Cristo, con il suo annuncio di pace fra gli uomini. Questa è una legge scritta nel cuore di ogni uomo (cfr Rom. 2, 16).

            I profeti, i testimoni, i messaggeri che sono presenti - ed Egli li cita nella cultura religiosa indiana - sono suscitati da quel Dio che vuole salvi tutti gli uomini e perciò spande "i semi" del verbo. Non stupisce allora, esaminando i discorsi di papa Paolo VI in India, leggere testi dei libri sacri delle tradizioni religiose di quel popolo che per ciò stesso sono riconosciuti come strumenti di grazia e di salvezza. Il tutto però in riferimento ad una pienezza che la storia, come riconosce la teologia, ha reso graduale e progressiva; ad una unicità che nella storia è vista però ritrattata; ad una definitività che, nel cammino dell'umanità, deriva dalla sua pluralità etnica, culturale, espressiva.

«Questa visita in India è il coronamento di un desiderio a lungo accarezzato. La vostra è una terra di cultura antica, il crogiolo di grandi religioni, la casa di una nazione che ha cercato Dio con desiderio implacabile, nella profonda meditazione e nel silenzio, e negli inni di una fervida preghiera. Raramente questa ricerca di Dio è stata espressa con parole così piene di spirito di Avvento come nelle parole scritte nei vostri testi molti secoli prima di Cristo: "dall'irreale guidami al reale, dall'oscurità guidami alla luce, dalla morte guidami all'immortalità (Br. 1, 3.28)" Questa è una preghiera legata anche al nostro tempo, oggi più che mai dovrebbe risalire da ogni cuore umano. Il genere umano sta intraprendendo profondi mutamenti e sta brancolando nel buio alla ricerca di principi guida e di nuove energie che lo guidano nel mondo di domani. Anche il vostro paese è entrato in una nuova fase della sua storia, ed in questo periodo di transizione anche voi percepite l'insicurezza del nostro tempo, quando gli equilibri ed i valori tradizionali sono in mutamento e tutti gli sforzi devono essere focalizzati nella costruzione del futuro della nazione, non solo su solide basi economiche, ma anche su salde fondamenta spirituali. Anche voi siete impegnati nella lotta contro i mali che oscurano la vita di innumerevoli persone in tutto il mondo: contro la povertà, la fame, le malattie; anche voi state combattendo la battaglia per più cibo, vestiario, abitazioni, istruzione, per un'equa distribuzione della ricchezza delle nazioni. Non siamo tutti noi nella sfida per un mondo migliore, in questo sforzo per rendere disponibili a tutti i popoli i beni che sono necessari per realizzare in pienezza la loro condizione umana e per vivere una vita degna dei figli di Dio? Dobbiamo allora metterci insieme, non solo attraverso i mezzi di comunicazione, stampa e radio, navi e aerei, dobbiamo avvicinare i nostri cuori in reciproca comprensione, stima, amore. Non dobbiamo incontrarci semplicemente da turisti, ma da pellegrini che cercano Dio, non in edifici di pietra, ma nei cuori [...] L'unità deve essere costruita sull'amore universale che abbraccia tutti ed affonda le sue radici in Dio che è amore. L'occasione della nostra visita è il Congresso Eucaristico [...] Questo è il significato del Congresso: il vero amore deve essere rinnovato tra di noi e deve diventare la forza ispiratrice dei nostri sforzi. Abbiamo bisogno di pace e stabilità nel nostro mondo [...], per il miglioramento della condizione dell'uomo, ma tutti questi sforzi vanno animati da vero amore». [40]

            Il viaggio in India e il dialogo interreligioso che il Papa ha offerto non potevano eludere il nodo apparentemente insolvibile: Gesù. Nel dialogo tra "cristianesimo e religioni" ci può essere mutuo arricchimento e i cristiani possono essere aiutati ad andare all'essenza del proprio Messaggio e accorgersi quanto una eccessiva occidentalizzazione pregiudichi la sua intrinseca universalità o una indiscriminata storicizzazione impedisca di cogliere appieno la sua assolutezza. Ma il problema che la Teologia registra, se riportiamo correttamente i numerosi interventi di teologi [41] sulla questione, è come il dialogo possa continuare "con spirito aperto e sincero", affermando che Gesù di Nazareth è il Salvatore unico e universale degli uomini, che è l'unica e definitiva - e quindi assoluta - manifestazione e rivelazione di Dio nella storia umana e la Verità assoluta in campo religioso. Quasi tutti i manuali di teologia delle religioni non cristiane riportano quella tendenza teologica per cui alcuni, per continuare il dialogo, sembrano affermare che Gesù non è che una "manifestazione" storica del Cristo cosmico, che è presente e agisce in tutte le religioni anch'esse "rivelate" al pari del Cristianesimo; altri sembrano insinuare che Gesù non è l'unico Salvatore, ma "uno dei tanti" salvatori inviati da Dio agli uomini o che Gesù è il Salvatore dei cristiani, cioè di coloro che credono in Lui. Alcuni parlano di "pluralismo unitivo" delle religioni, il cui presupposto fondamentale è che tutte le religioni sono o possono essere ugualmente valide: Gesù sarebbe uno tra i tanti nel mondo dei salvatori e redentori.

            Certo ognuna di queste ipotesi teologiche dovrebbe esaminare criticamente il proprio presupposto filosofico, storico e culturale. Paolo VI non raggira il problema:

«Noi veniamo come messaggeri di Gesù e del suo insegnamento. Molti di voi conoscono la Sua vita e la Sua dottrina, e come Gandhi, esprimono riverenza per Gesù ed ammirazione per il suo insegnamento. Gesù ha detto "Io sono la Luce del mondo" ed il mondo oggi presenta un grande bisogno di questa luce, per superare la lotta e la divisione e la minaccia di una violenza senza precedenti che sta per inghiottire il genere umano. La gente dell'India e dell'Asia può trarre luce ed energia dall'insegnamento e dallo spirito di Gesù, dal suo amore e dalla sua compassione, dai suoi sforzi per aiutare i meno fortunati, per praticare l'amore fraterno, per conseguire la pace al suo interno e con i suoi vicini. Questa è la missione della Chiesa qui, e noi siamo profondamente grati per la libertà assicurata ai predicatori del Vangelo nel vostro paese. Costoro comunicano il messaggio di Gesù con il più alto rispetto per le situazioni degli altri, nel linguaggio e nella espressione culturale della gente ed incoraggiano i cristiani ad esprimere la loro fede e devozione in armonia con la civilizzazione dell'India ed in forma pienamente indiana. Così la Chiesa, raccolti i diversi tesori di così svariate culture dell'Oriente e dell'Occidente, sarà ulteriormente arricchita dal contributo dei suoi figli indiani, tratti dalla ricca e antica tradizione culturale del loro paese». [42]

2.5. Educare al dialogo le nuove generazioni

            Non vorremmo concludere senza aver annotato due brani di discorsi, che riteniamo significativi, rivolti alle nuove generazioni e agli studenti: coscienze da formare, educare al dialogo.

«Noi desideriamo ardentemente che voi non perdiate questa occasione per rinforzare la vostra fede ed approfondire il vostro amore per la Chiesa, per i vostri compagni di scuola, per tutti i cattolici e per tutte le genti del mondo. Cattolico significa universale, di tutto il mondo e voi dovete imparare a guardare oltre la vostra famiglia, il vostro gruppo, la vostra città, fino all'intera nazione dell'India, all'intera Asia, alla grande terra stessa». [43]

E agli studenti:

«Voi siete la speranza del futuro, voi siete giovani, forti, pieni di vita, di energie, di ambizione. Siate certi che io seguo i vostri progetti ed i vostri progressi con paterno interesse e che desidero per voi ogni gioia e successo. Un pensiero vorrei lasciarvi quest'oggi, Cercate sempre di conoscere Gesù e di conoscerlo meglio. Studiate la sua vita, le sue azioni e le sue parole, in modo da poter imitare sempre più il Suo esempio e  [...]  seguitelo, poiché Egli è la via, la verità e la vita. Cercate di confrontare la vostra esperienza di vita e poi rendete le vostre azioni ed i vostri pensieri simili ai Suoi, abbiate in voi la stessa mentalità che era in Gesù Cristo». [44]

L'aspettativa, nell'analisi dei discorsi di Bombay, non riguardava una teologia completa delle religioni non cristiane. Gli interventi erano occasionali, per loro natura, e pastorali; tuttavia la sorpresa, nel mettere a tema i contenuti, è consistita nel fatto che, attraverso questo viaggio, papa Paolo VI abbia influito sulla teologia che dal concilio prende le mosse per riflettere sul pluralismo religioso in rapporto con la natura della Rivelazione cristiana e la soteriologia. La linea della continuità trova il suo orientamento nel magistero di papa Paolo VI dall'ES al concilio e al dopo concilio.

            Incontriamo quelli che si possono considerare i "punti fermi" della teologia cattolica, in riferimento alle religioni non cristiane e cioè l'universale volontà salvifica di Dio; Gesù unico e universale salvatore degli uomini; la Chiesa Sacramento universale di salvezza; la necessità assoluta della fede in Dio e in Cristo per salvarsi: sono l'orizzonte sul quale papa Paolo VI intesse il suo dialogo che i discorsi riportati attestano.

            Il concilio affronta la questione nella Costituzione sulla Chiesa:

 «Quelli che senza colpa ignorano il Vangelo di Cristo e la sua Chiesa, e tuttavia cercano sinceramente Dio, e sotto l'influsso della grazia si sforzano di compiere con le opere la volontà di Dio, conosciuta attraverso il dettame della coscienza, possono conseguire la salvezza eterna. Né la divina Provvidenza nega gli aiuti necessari alla salvezza di coloro che, senza colpa da parte loro, non sono arrivati a conoscenza esplicita di Dio, e si sforzano, non senza la grazia divina, di condurre una vita retta» (LG 16)

            Riprende la problematica sul fronte pastorale nella GS 22, dove è ribadito che la salvezza proveniente dal mistero pasquale

«Non vale solo per i cristiani, ma anche per tutti gli uomini di buona volontà, nel cui cuore opera inevitabilmente la grazia. Cristo, infatti, è morto per tutti e la vocazione ultima dell'uomo è effettivamente una sola, quella divina; perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire a contatto, nel modo che Dio conosce, con il mistero pasquale»

            La Teologia del Dialogo, così come l'abbiamo delineata (cfr. Present.3) diventa indispensabile, poiché è l'annuncio che per l'uomo c'è salvezza nella Chiesa.

            La salvezza infatti, riguarda la volontà di Dio, ma richiede una corrispondenza dell'uomo individuale nel suo libero assenso che parte dalla fede e dalla coscienza di come Dio lo abbia amato, in particolar modo attraverso Cristo e la Chiesa. All'esterno della Chiesa - il cristiano lo sa - non c'è la salvezza e proprio la Teologia del Dialogo rende visibile questa verità.

            Il dialogo terrà lontane le tentazioni di annessione o di conquista. Ma la Chiesa, guardando a Cristo non può non presentarsi come il "compimento" di tutta la storia umana, perché in Lui tutti i valori umani e, dunque, in primo luogo, i valori religiosi, sono purificati, elevati e divinizzati. Il peccato presente nella Chiesa, che rende scarsamente credibile il suo messaggio di Salvezza, interpella la coscienza cristiana che, proprio in ragione del dialogo, non ripiega su posizioni eclettiche o sincretiste, ma è risvegliata a nuova responsabilità.

            La strategia di papa Paolo VI sembra a noi quella di riportare la Chiesa a nuova coscienza, proprio aprendola alle grandi tradizioni religiose e culturali.

            Il viaggio in India è ricondotto a questa prospettiva, che trova nell'ES il suo programma.

«Suppone pertanto il dialogo uno stato d'animo in noi, che intendiamo introdurre e alimentare con quanti ci circondano: lo stato d'animo di chi sente dentro di sé il peso del mandato apostolico, di chi avverte di non poter più separare la propria salvezza dalla ricerca di quella altrui, di chi studia di continuo di mettere il messaggio, di cui è depositario, nella circolazione dell'umano discorso» (ES 46). [45]

3. IL VIAGGIO ALL'ONU

3.1      Il dialogo con le Nazioni

Nell'ES scriveva Paolo VI:

«Non possiamo staccare il nostro sguardo dal panorama del mondo contemporaneo senza esprimere un voto lusinghiero: quello che il Nostro proposito di coltivare e perfezionare il Nostro dialogo con le varie e mutevoli facce che esso presenta di sé, possa giovare alla causa della pace fra gli uomini; come metodo che cerca di regolare i rapporti umani nella nobile luce del linguaggio ragionevole e sincero; e come contributo di esperienza e di sapienza che può in tutti ravvivare la considerazione dei valori supremi. L'apertura di un dialogo, come vuole essere il Nostro, disinteressato, obiettivo, leale, decide per se stessa in favore d'una pace libera ed onesta; esclude infingimenti, rivalità, inganni o tradimenti; non può non denunciare come delitto e come rovina, la guerra di aggressione, di conquista o di predominio; e non può non estendersi dalle relazioni al vertice delle nazioni a quelle nel corpo delle nazioni stesse e alle basi sia sociali che familiari e individuali, per diffondere in ogni istituzione ed in ogni spirito il senso, il gusto, il dovere della pace» (ES 59). [46]

            Il viaggio all'ONU è il gesto concreto, accompagnato dal memorabile discorso, che traduce in pratica il "proposito" iniziale. Voluto in stretta comunione con il concilio in atto perché fosse espansione dello sforzo della Chiesa intera per il bene dell'umanità, come attestano gli Acta Synodalia [47] , ne anticipò egli stesso  alla vigilia, il significato profondo.

«Lo scopo è quello solito e ricorrente nei Nostri pensieri e nelle nostre preghiere, la pace del mondo, la pace di Cristo. Preghiamo dunque affinché questo scopo, di interesse comune e, possiamo dire, di interesse presente e urgente, sia da noi servito, da tutti compreso, e favorito, e per il bene di tutti raggiunto». [48]

Anche le parole alla partenza da Roma sono significative:

«Ci incontreremo con gli esperti e valorosi rappresentanti dei singoli paesi, radunati a costruttivo dialogo nell'ambito della sede delle Nazioni Unite [...] Pace noi chiediamo con voce inerme, ma rinvigorita dalla forza  stessa del Principe della Pace, di cui siamo ministro e rappresentante in terra: pace chiediamo ai capi di Stato come agli uomini politici, ai diplomatici, come agli esperti di economia e di finanza, agli scienziati e ai filosofi, ai letterati e ai pubblicisti. Tutti sono chiamati a portare il loro contributo alla grande opera della pace, che di tutti ha bisogno per mettere radici profonde e inestinguibili nel tempo presente». [49]

3.2 La Rivelazione cristiana e la storia

            Del discorso, pervaso di un afflato che traduce la passione di papa Paolo VI per l'uomo contemporaneo, colpisce la sapiente architettura dialogica.

            Dialogica nell'oggetto materiale: dalla constatazione che gli uomini scrivono la storia "degli uni e degli altri"- storia di guerre come nel nostro secolo - alla lettura nuova della storia, la storia "degli uni con gli altri", di più ancora che "degli uni e degli altri". Per giungere a questo punto di umanizzazione non sono sufficienti i valori materiali ed economici, bisogna fare spazio a quelli eterni e spirituali, al valore fondante i valori, quello religioso del Dio "ignoto" perché da cercare, ma che si lascia trovare. Egli, come Papa di Roma, autorizzato dalla coscienza dell'uomo e della storia, annuncia il Dio di Gesù Cristo. Se ne ricava che anche l'oggetto formale è dialogico. Papa Paolo VI conduce l'uditore ad un "punto" dal quale ripartire per interpretare tutto ciò che ha detto, punto risolutore, necessario, salvifico per chi ha la responsabilità delle sorti dell'umanità. Un discorso che interpella e che attende una risposta sul piano esecutivo.

«In una sola parola, l'edificio della moderna civiltà deve reggersi su principi spirituali, capaci non solo di sostenerlo, ma altresì di illuminarlo e di animarlo. E perché tali siano questi indispensabili principi di superiore sapienza, essi non possono non fondarsi nella fede di Dio. Il Dio ignoto? Il Dio ignoto, di cui discorreva nell'areopago San Paolo agli Ateniesi; ignoto a loro che, pur senza avvedersene, lo cercavano e lo avevano vicino come capita a tanti uomini del nostro secolo? [...] Per noi, in ogni caso, e per quanti accolgono la rivelazione ineffabile, che Cristo di Lui ci ha fatto,  il Dio vivente, il Padre di tutti gli uomini». [50]

            Questo è il "punto", patrimonio della interpretazione cristiana dell'esistenza e della storia, a cui papa Paolo VI conduce nel colloquio "il mondo" interlocutore: una nuova comprensione chiamata "fede" perché aperta al rivelarsi di Dio come Padre e dunque principio ermeneutico della universale fraternità, entrato in dialogo con l'umanità, rivelandosi come colui che può salvare il mondo; punto di attracco della ricerca in atto dell'umanità di un Dio considerato ignoto, ma in realtà guida della stessa ricerca. Senza nulla accantonare del messaggio cristiano, papa Paolo VI dà al concilio l'esempio di quel dialogo con il mondo che sta interpellando la Chiesa, nella ricerca di un nuovo modo di guardare alla storia.

3.3        L'impegno di tutta la Chiesa

            Questa, la panoramica che papa Paolo VI aveva offerto alla Chiesa  all'esordio del suo ministero:

«Voi certamente avvertirete che questo sommario disegno della Nostra Enciclica non contempla la trattazione di temi urgenti e gravi che interessano non solo la Chiesa, ma l'umanità, (dei quali tutto il Concilio dovrà farsi carico), quali la pace fra i popoli e fra le classi sociali, la miseria e la fame che tuttora affliggono intere popolazioni, l'ascesa di giovani nazioni all'indipendenza e al progresso civile, le correnti del pensiero moderno e la cultura cristiana, le condizioni infelici di tanta gente e di tante porzioni della Chiesa a cui sono contestati i diritti propri di cittadini liberi e di persone umane, i problemi morali circa la natalità»(ES 6). [51]

            Qui egli coagulerà le forze del suo impegno:

«Alla grande e universale questione della pace del mondo Noi diciamo fin d'ora che ci sentiamo particolarmente obbligati a rivolgere non solo la Nostra vigilante e cordiale attenzione, ma l'interessamento altresì più assiduo ed efficace, contenuto sì nell'ambiente del Nostro ministero ed estraneo perciò ad ogni interesse puramente temporale e alle forme propriamente politiche, ma premuroso di contribuire all'educazione dell'umanità a sentimenti ed a procedimenti contrari ad ogni violento e micidiale conflitto, e favorevoli ad ogni civile e razionale pacifico regolamento dei rapporti fra le nazioni» (ES 6).

            Non è oggetto solo del ministero del Papa, poiché investe la metodologia per la vita dell'intera Chiesa, chiamata a nuova coscienza della sua missione nel mondo: «Rendere fratelli gli uomini, in virtù del regno di giustizia e di pace, inaugurato dalla venuta di Cristo nel mondo» (ES 6). [52]

Al ritorno, nell'aula conciliare, il proposito diventa consegna a tutto il concilio:

«Ringraziamo il Signore, Venerati Fratelli, d'aver avuto la fortuna d'annunciare in un certo senso agli uomini di tutto il mondo il messaggio della pace. Ma mai questo evangelico annuncio aveva avuto uditorio più ampio, e possiamo dire, più pronto e più avido di ascoltarlo, non mai tale annuncio è sembrato interpretare congiuntamente la voce misericordiosa del cielo e la voce implorante della terra, dimostrando cioè di essere il misterioso disegno divino sull'umanità stessa; e mai, come ora, la missione della Chiesa, mediatrice tra Dio e l'uomo, ha dimostrato perciò di essere giustificata da più evidenti, provvidenziali e moderne ragioni  [...]  Nel nome di Cristo abbiamo predicato agli uomini la pace. Ora noi ci accorgiamo d'una conseguenza soggettiva che tale ufficio comporta e in questo pensiero terminerà il nostro viaggio; voi sapete che l'annuncio d'una parola impegna a gravi doveri chi la proferisce: dovere di coerenza, dovere di solidarietà, dovere di esempio. Una parola non convalidata dalla fattiva volontà di realizzarla per sé e da sé che vale? L'autorità della parola nasce, sì, dalla verità, di cui si fa eco; ma nell'ambito umano essa trae la sua maggiore efficacia dal modo con cui chi l'annuncia insieme la realizza; parla la voce, ma persuade l'esempio dell'araldo del Vangelo. Conseguenza grave perciò deriva dal fatto d'aver noi annunciato la pace: noi dobbiamo essere, ora più di prima, operatori della pace. La Chiesa Cattolica si è assunta un obbligo maggiore di servire la causa della pace per il fatto che, tramite la nostra voce, ne ha indennemente perorato la causa. Non è certamente nostro ufficio, né può essere nostra intenzione entrare nel campo politico, né in quello economico, dove direttamente si costruisce quell'ordine temporale, che costituisce la pace civile. Ma possiamo e dobbiamo aiutare anche la costituzione della pace civile mediante un assiduo appoggio morale, e per qualche verso quello della carità operante, anche materiale e reale. Non è forse in questo momento il nostro concilio Ecumenico tutto impegnato a studiare come rendere operanti e benefici i rapporti della Chiesa Cattolica nel mondo moderno?  Mettere la nostra fede al servizio della carità, sia nella discussione ecumenica, sia nei rapporti spirituali e sociali, con gli uomini di buona volontà, di ogni razza, e di ogni credenza, non è forse un contributo alla pace e non è già nei nostri programmi?». [53]

4. IL PELLEGRINAGGIO A FATIMA, 13 maggio 1967

4.1      Gli intenti del pellegrinaggio

            Nell'udienza generale del Mercoledì 3 maggio, papa Paolo VI, rivolgendosi ai convenuti, espresse queste parole:

«Oggi il breve discorso che Noi siamo soliti inserire nello svolgimento dell'Udienza generale della settimana, si limiterà a dare a voi per primi l'annuncio d'un Nostro pellegrinaggio a Fatima, per onorare Maria Santissima e per invocare la sua intercessione a favore della pace della Chiesa e del mondo [...] per sabato 13 maggio, vigilia di Pentecoste [...] un breve atto di presenza alla commemorazione del 50° anniversario [...] delle apparizioni della Madonna di Fatima [...] nonché a quella del 25° anniversario della consacrazione del mondo al Cuore Immacolato di Maria». [54]

            La Chiesa, il mondo, la vita che li deve caratterizzare, la pace sono le linee della continuità con quanto nell'ES  33 aveva intravisto legato a Maria:

«Noi in questa occasione volentieri vi rivolgiamo lo Spirito per ammirare nella Vergine Santissima, Madre di Cristo, e perciò Madre di Dio e Madre nostra, il modello della perfezione cristiana, lo specchio delle virtù sincere, la meraviglia della vera umanità. Pensiamo che il culto a Maria sia fonte di insegnamenti evangelici: nel Nostro pellegrinaggio in Terra Santa, da Lei, la beatissima, la dolcissima, l'umilissima, l'immacolata creatura, a cui toccò il privilegio di offrire al Verbo di Dio la carne umana nella sua primigenia innocenza e bellezza, abbiamo voluto assumere l'insegnamento dell'autenticità cristiana, e a Lei ancora rivolgiamo lo sguardo implorante, come ad amorosa maestra di vita, mentre ragioniamo con voi, venerabili Fratelli, della rigenerazione spirituale e morale della vita della Santa Chiesa». [55]

            E proprio in riferimento a Maria, guardando alla Chiesa e al mondo, rivela l'intento del nuovo pellegrinaggio in un gesto che riassume il senso del suo pontificato:

«Ci sta infatti molto a cuore la pace interiore della Chiesa, alla quale ci preme sia assicurato il generoso fermento del Concilio Ecumenico nell'integrità dell'autentica fede, nella coesione della carità e della disciplina ecclesiale, nel favore della espansione apostolica per la salvezza del mondo e nella sincera ricerca di avvicinamento ecumenico con quanti sono insigniti del nome cristiano. E non meno Ci sta a cuore la pace civile e sociale nel mondo. Sì, la pace dell'umanità». [56]

4.2      Il testo dell'omelia e il dialogo intraecclesiale.

            Il testo dell'omelia pronunciata conserva il disegno architettonico dell'ES, nella parte in cui individua gli interlocutori del suo dialogo:

«Nessuno noi vogliamo escludere da questo spirituale ricordo, perché tutti vogliamo partecipi delle grazie, che qui impetriamo dal Cielo: vi portiamo nel cuore, voi fratelli nell'Episcopato, voi Sacerdoti e voi Religiosi e Religiose [...] voi laici carissimi [...] Il nostro sguardo si spinge a tutti i Cristiani non cattolici, ma fratelli nostri nel battesimo, per i quali è la Nostra memoria e speranza di perfetta comunione nell'unità voluta dal Signore Gesù. E si allarga a tutto il mondo: Noi non vogliamo che la nostra carità abbia confine in questo momento, la estendiamo alla intera umanità [...] a tutti i Popoli della terra». [57]

            Il contenuto però si fa allarmato e preoccupato. Il dialogo della Chiesa e della Chiesa con il mondo non è, nel pensiero di papa Paolo VI, quello da Lui stesso voluto e fatto proprio dal concilio; piuttosto è insidiato da elementi che allontanano dal modello iniziale e da quello qui venerato: Maria. Sotto forma di preghiera, dice:

«La prima intenzione è la Chiesa, la Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica. Vogliamo pregare, abbiamo detto, per la sua pace interiore [...] Ha aperto più ampie visioni nel campo della sua dottrina, ha chiamato tutti i suoi figli a più chiara coscienza, a più intima collaborazione, a più alacre apostolato. A noi preme che tanto beneficio e tale rinnovamento si conservino e si accrescano» [58] .[...]  Quale danno sarebbe se una interpretazione arbitraria e non autorizzata del Magistero della Chiesa facesse di questo risveglio un'inquietudine dissolvitrice della sua tradizionale e costituzionale compagine, sostituisse alla teologia dei veri e grandi maestri ideologie nuove e particolari, intese a togliere della norma della fede quanto il pensiero moderno, privo spesso di luce razionale, non comprende e non gradisce, e mutasse l'ansia apostolica della carità redentrice nell'acquiescenza alle forme negative della mentalità profana e del costume mondano! Quale delusione sarebbe il nostro sforzo di avvicinamento universale se non offrisse ai fratelli cristiani, tuttora da noi divisi, e all'umanità prova della nostra fede nella sua schietta autenticità e nella sua originale bellezza, il patrimonio di verità e di carità, di cui la Chiesa è depositaria e dispensatrice"!» [59] «Le speranze e le energie, suscitate dal Concilio, abbiano a maturare in larghissima misura, i frutti di quello Spirito Santo, di cui domani, Pentecoste, la Chiesa celebra la festa e da cui proviene la vera vita cristiana». [60]

            L'allarme suona come possibilità che il dialogo (la terza parte dell'ES) non sia perciò disceso dalla coscienza e dal rinnovamento interiore, in prima istanza auspicato da Lui e voluto dal concilio, quanto piuttosto abbia espedito il suo statuto epistemologico sul fronte di una modernità che non è solo scienza e progresso, ma anche rifiuto della razionalità e dialettica sistematicamente alternativa al dialogo.

            Nella seconda parte del discorso-preghiera papa Paolo VI si  rivolge al mondo degli uomini:

«E allora la Nostra preghiera [...] si rivolge agli uomini di tutto il mondo [...] Uomini, siate uomini. Uomini siate buoni, siate saggi, siate aperti alla considerazione del bene totale del mondo. Uomini siate magnanimi. Uomini sappiate vedere il vostro prestigio e il vostro interesse, non contrari, ma solidali, con il prestigio e l'interesse altrui. Uomini, non pensate a progetti di distruzione e di morte, di rivoluzione e di sopraffazione, pensate a progetti di comune conforto, e di solidale collaborazione. [...] Ricominciate ad avvicinarvi gli uni agli altri con pensieri di costruzione di un mondo nuovo; sì, il mondo degli uomini veri, il quale non potrà mai essere tale senza il sole di Dio al suo orizzonte». [61]

            Al di là dei giudizi che gli studiosi possono dare sul magistero di papa Paolo VI, giungendo anche a separarlo in un "prima" ottimistico e un "dopo", che qui avrebbe il suo esordio, pessimistico nei confronti della modernità e del mondo, in linea con il nostro intento ci preme evidenziare la continuità con quanto aveva detto della Chiesa e del mondo nell'ES.

«Fino a quale grado la Chiesa deve uniformarsi alle circostanze storiche e locali - si domandava Paolo VI nella ES - in cui svolge la sua missione? Come deve premunirsi dal pericolo d'un relativismo che intacchi la sua fedeltà dogmatica e morale? Ma come insieme farsi idonea a tutti, avvicinare per tutti salvare? [...] Non si salva il mondo dal di fuori [...] Ma il pericolo rimane. L'arte dell'apostolato è rischiosa. La sollecitudine di accostare i fratelli non deve tradursi in una attenuazione, in una diminuzione della verità. Il nostro dialogo non può essere una debolezza rispetto all'impegno verso la nostra fede. L'apostolato non può transigere con un compromesso ambiguo rispetto ai principi di pensiero e di azione che devono qualificare la nostra professione cristiana. L'irenismo e il sincretismo sono in fondo forme di scetticismo rispetto alla forza e al contenuto della Parola di Dio, che vogliono predicare. Solo chi è pienamente fedele alla dottrina di Cristo può essere efficacemente apostolo. E solo chi vive in pienezza la vocazione cristiana può essere immunizzato dal contagio di errori con cui viene a contatto». [62]

E per quanto è inerente a certo mondo:

«Dove i diritti dello spirito sono soverchiati [...] Silenzio, grido, pazienza e sempre amore, diventano in tal caso la testimonianza che ancora la Chiesa può dare e che nemmeno la morte può soffocare (ES, 57) [63] [...] L'apertura di un Dialogo, come vuol essere il nostro [...] non può non denunciare, come delitto e come rovina, la guerra di aggressione, di conquista o di predominio, e non può non estendersi dalle relazioni al vertice delle nazioni a quelle nel corpo delle nazioni stesse o alle basi sia sociali che familiari e individuali, per diffondere in ogni istituzione ed in ogni spirito il senso, il gusto, il dovere della pace» (ES  59). [64]

Suona evocativa la conclusione dell'omelia a Fatima:

«Ascoltate mediante l'umile e tremante voce Nostra l'eco sonante della Parola di Cristo». [65]

4.3      Il dialogo con le comunità cristiane non cattoliche

            Di questo rapidissimo viaggio non vorremmo trascurare un incontro del "dialogo" con le Comunità cristiane non cattoliche.

«Allo stato attuale delle divisioni cristiane, non vi è possibile, fratelli, condividere tutte le nostre convinzioni inerenti Maria. Almeno noi abbiamo in comune questo modello di fede e di umiltà che dobbiamo tradurre a nostra volta in adeguate vie di servizio del Signore. E possiamo legittimamente sperare, con la Grazia del Signore che questo servizio comune ci avvicinerà gli uni agli altri». [66]

5. IL VIAGGIO IN TURCHIA

5.1      Il significato del viaggio

            Il nuovo viaggio, suggerito - secondo l'espressione stessa di papa Paolo VI - «Da considerazioni di molto peso e di molta complessità [...] in quest'alba dell'anno della Fede [per onorare] le memorie degli importanti Concili Ecumenici» [67] aggiunge al presente studio sulla continuità tra l'ES ed i viaggi intercontinentali un contributo sul dialogo ecumenico e sul dialogo interreligioso, per il contatto avuto in quell'occasione con il mondo islamico. Il tutto senza voler trascurare che, essendo la finalità prossima, la celebrazione dell'Anno della Fede (1968), il gesto vuole riportare a coscienza gli elementi costitutivi della fede: l'Annuncio, l'elaborazione, la trasmissione, il ruolo necessario del Magistero in tutte le sue espressioni e in rapporto all'ecumenismo e al dialogo con l'Oriente, la constatazione che ben quattro Concili dei primi secoli, nei quali sono stati elaborati i capisaldi della fede - la Trinità, la Cristologia, la Pnemautologia, la Mariologia - segnano una piattaforma del dialogo adatta al dialogo in vista dell'unità su quanto in seguito ha costituito divisione.

            Rivolgendosi ai neo Cardinali il 15 luglio 1967 diceva:

«Desideriamo, poi, rendere visita a Sua Santità il Patriarca Athenagoras, prevenendo così una sua visita, ch'egli più volte ha manifestato il proposito di farci. Vogliamo in tal modo compiere Noi stessi atto di onore verso l'illustre e venerato Patriarca ecumenico, per ricambiare i gesti di cortesia, da Lui più volte compiuti verso di Noi e verso la Chiesa Cattolica Romana, inviando i suoi rappresentanti, sia come Osservatori al Concilio Ecumenico, sia come visitatori [...] in varie circostanze per portare [...] l'invito e celebrare spiritualmente a Noi uniti lo storico ispiratore ricordo, per rievocare la sempre commossa memoria dell'incontro, che all'inizio del 1964, Noi avemmo [...] con Lui a Gerusalemme, per discutere sul modo migliore di promuovere gli studi teologici e canonici allo scopo di appianare la via verso un ristabilimento d'una perfetta comunione fra la Chiesa Cattolica e la Chiesa ortodossa e per esaminare insieme in quale forma e con quali mezzi si possa, con solidale sentimento, tutelare, nelle presenti congiunture, l'incolumità, non solo, ma il carattere sacro e peculiare dei Luoghi Santi nella Terra che fu Patria di Cristo, Teatro del Vangelo, Culla della Chiesa, meta ideale di ogni cuore cristiano». [68]

            Anche rivolgendosi al Patriarca armeno Snork Kalustian, presenta sinteticamente il quadro dei motivi che riassume questo gesto di fede che, nell'approssimarsi del XIX centenario dell'annuncio della fede suggellata dal Martirio degli Apostoli Pietro e Paolo, interpella l'intera cristianità:

«Possa l'incontro odierno rafforzare e approfondire quella relazione, per il bene della Santa Chiesa e la sua Unità, e possa Dio spargere su di voi abbondanti propositi di pace [...] Noi conosciamo la fedeltà della vostra gente e la gloria della loro testimonianza a Cristo, il Signore della Chiesa, lungo i secoli. Con rispetto e ammirazione ricordiamo la loro devozione ai grandi Padri e Dottori della Chiesa nella fede. In particolare, mentre ci prepariamo alla visita nel posto reso glorioso dall'ispirato testimone dei Padri del Concilio di Efeso, è una grande consolazione meditare sulla visione di Cristo presentato alla Chiesa e al mondo da quella Santa assemblea. Anche questa visione condividiamo nella fede. Dio fatto uomo per la nostra salvezza, è il Dio che confessiamo nel nostro Credo e predichiamo al mondo. La Santa Vergine, che diede i natali a Dio, e che i Padri di Efeso con gioia e riverenza hanno definito come "Theotokos" è ancora oggi la Nostra Avvocata, il Nostro modello, la nostra Madre. Durante l'Anno della Fede che celebra l'anniversario del martirio dei grandi apostoli Pietro e Paolo, è nostra speranza che tutti i cristiani si sforzeranno di penetrare più intensamente nei misteri di Cristo. Per testimoniare Lui i Santi Apostoli hanno sparso il loro sangue. In servizio a Lui, i padri del Grande Concilio Ecumenico, come successori degli apostoli, diedero testimonianza di fedeltà. Possa la Santa Madre di Dio aiutare anche noi ad essere testimoni pieni di fede ed umili servitori di suo Figlio, il quale è nostro signore. Nel corso dei secoli, i legami della comunione fra di noi si sono indeboliti. Cristo, nostro Signore, ci chiama con speciale urgenza per tentare di ristabilire una perfetta comunione in carità e verità». [69]

            La forza propulsiva del dialogo ecumenico è ravvisata nel recupero della fede in tutta l'interezza ed estensione:

«Perché osiamo noi invitarvi a questo atto di coscienza ecclesiastica? A questo esplicito se pur interiore, atto di fede? Molte sono le ragioni a Nostro avviso, e tutte derivate da esigenze profonde ed essenziali del momento speciale in cui si trova la vita della Chiesa. Essa ha bisogno di riflettere su se stessa, ha bisogno di sentirsi vivere. Essa deve imparare a meglio conoscere se stessa, se vuole vivere la propria vocazione e offrire al mondo il suo messaggio di paternità e di salvezza»(ES 9-10). [70]

5.2      Il dialogo ecumenico

            Per quanto riguarda il dialogo ecumenico con il particolare riferimento al patrimonio di fede comune, premessa indispensabile all'auspicabile avvicinarsi alla ricomposizione dell'unità, ci sembra indispensabile il testo di "fraterno attestato" al Patriarca Athenagoras di cui, dal testo latino [71] , proponiamo la nostra traduzione:

«Alla vigilia dell'Anno di Fede celebrato in onore del 19° centenario del martirio dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, Noi, Paolo, Vescovo di Roma e Capo della Chiesa Cattolica, convinto che sia nostro dovere intraprendere tutto ciò che possa servire alla universale e Santa Chiesa, incontriamo nuovamente il Nostro Fratello amatissimo Athenagoras, Arcivescovo ortodosso di Costantinopoli, e Patriarca ecumenico e pienamente animati dall'ardente desiderio di veder realizzata la preghiera del Signore "che siano uno come noi siamo uno, Io in essi e tu in me, perché siano perfetti nell'unità e il mondo sappia che tu mi hai mandato" (Gv. 17, 22-23). Questa aspirazione anima una volontà risoluta di fare tutto ciò che è in Nostro potere affrettare il giorno nel quale tra la Chiesa di Occidente e quella di Oriente, sarà ristabilita una piena comunione, in vista della ricomposizione di tutti i cristiani nell'unità, che permetterà alla Chiesa di testimoniare efficacemente che il Padre ha mandato suo Figlio nel mondo affinché tutti quanti divengano figli di Dio e vivano da fratelli nella carità e nella pace. Convinti che "non c'è sotto il cielo altro nome dato agli uomini nel quale ci sia salvezza" (Act. 4, 12) e che possa loro donare la vera fraternità e la pace, Noi ascoltiamo il messaggio che Giovanni, il discepolo amato, inviava da Efeso alle Chiese d'Asia: " Quello che noi abbiamo veduto e ascoltato ve lo annunciamo perché anche voi siate in comunione con noi, essa è con il Padre e con il Figlio suo Gesù Cristo" (Gv. 1, 3) Quello che gli Apostoli hanno visto, udito e ci hanno annunciato, Dio ci ha donato di riceverlo per Fede. Attraverso il Battesimo "noi siamo uno in Cristo Gesù" (Gal. 3, 28) In virtù della successione apostolica, il sacerdozio e l'Eucarestia ci uniscono ancora più intimamente (cfr. descr. Unitatis Redintegratio, 15). Tale è la comunione profonda e misteriosa che c'è fra di noi: partecipando ai doni che Dio fa alla sua Chiesa, noi siamo inscritti nella comunione con il Padre attraverso il Figlio nello Spirito Santo. Diventati figli nel Figlio pienamente (1 Gv. 3, 1-2) noi siamo divenuti anche realmente e misteriosamente fratelli reciprocamente. In ogni Chiesa locale si opera questo mistero dell'amore divino e in questo non consiste forse la ragione per cui le Chiese locali amano chiamarsi Chiese sorelle? (cfr. UR 14). Questa vita delle Chiese sorelle noi l'abbiamo vissuta durante secoli, celebrando insieme i Concili Ecumenici che hanno difeso il deposito della fede contro qualsiasi contaminazione. Adesso, dopo un lungo periodo di divisione e di reciproca incomprensione, il Signore ci dona di riscoprirci come Chiese sorelle, malgrado gli ostacoli che furono nel tempo innalzati tra di noi. Nella luce di Cristo, noi vediamo come è urgente la necessità di sormontare questi ostacoli per arrivare a condurre in pienezza e perfezione la comunione già così intensa che esiste tra di noi. Poiché entrambi professiamo "i dogmi fondamentali della fede cristiana sulla Trinità, il Verbo di Dio che ha preso carne dalla Vergine Maria" proprio come "sono stati definiti nei Concili Ecumenici celebrati in Oriente" (cfr. UR 14) e poiché noi abbiamo in comune veri sacramenti ed un sacerdozio gerarchico, bisogna in prima istanza che al servizio della nostra santa fede, noi lavoriamo fraternamente per trovare insieme le forme adatte e progressive per sviluppare e attualizzare, nella vita delle nostre Chiese, la comunione che, nonostante imperfetta, già esiste. Bisogna poi da entrambe le parti, e attraverso mutui contatti, promuovere, approfondire, adattare la formazione del clero, l'istruzione e la vita del popolo cristiano. Si tratta, attraverso un dialogo teologico e leale, reso possibile dal ristabilimento della carità fraterna, riconoscersi e rispettarsi nella legittima diversità delle tradizioni liturgiche, spirituali, disciplinari e teologiche (cfr. UR 14-17), per arrivare ad accordarsi nella confessione sincera di tutta la verità rivelata. Per ristabilire e custodire la comunione e l'unità, bisogna stare attenti a non "imporre niente che non sia necessario" (cfr. Act. 15, 28; cfr UR 18). Nella speranza e nella carità, noi, basandoci su una preghiera diuturna, animati dal solo desiderio dell'unico necessario (cfr. Lc. 10, 42), proseguiamo e acceleriamo il nostro cammino in nomine Domini»

5.3      Il dialogo con i Musulmani

            L'incontro e le parole con M. Fikri Yavuz, capo religioso della comunità musulmana, offrono l'occasione per una panoramica complessiva di come Paolo VI intendesse, a partire dall'ES., il dialogo con l'Islam e come, a partire da quel primo momento, ne abbia coltivato la continuità.

            In Turchia ebbe ad esprimersi così:

«Noi ci teniamo a dirvi la nostra stima per i Musulmani [...] come così bene ha espresso il recente Concilio (Nostra Aetate, n. 3) che ci ha esortati a promuovere insieme, su questa base (delle verità comuni), la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà. Tutti quelli che adorano il Dio Unico sono chiamati a stabilire un ordine di giustizia e di pace sulla terra». [72]

            Il riferimento all'ES 60 è immediato ed è anche facile osservare la profonda convergenza del Concilio Vaticano II nei testi della LG e della NA, che furono pubblicati qualche mese più tardi e promulgati da papa Paolo VI: 

«Il disegno di salvezza riguarda in pari modo coloro che riconoscono il creatore, in primo luogo i Musulmani che professano avere la fede di Abramo e che adorano con noi il Dio Unico, misericordioso, futuro giudice degli uomini nell'ultimo giorno» (LG 16);

e in Nostra Aetate promulgata il 28 ottobre 1965, di cui dedica il n. 3 ai Musulmani: 

«La Chiesa guarda, anche stima i Musulmani, che adorano il Dio uno, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del Cielo e della terra che ha parlato agli uomini. Essi cercano di sottomettersi con tutta la loro anima ai decreti di Dio, anche se nascosti, come si sottomise a Dio, Abramo, al quale la fede islamica si riferisce di continuo. Benché non riconoscano Gesù come Dio, essi lo venerano come profeta; onorano Sua Madre verginale, Maria, e la invocano addirittura con pietà. Ancora, essi attendono il giorno del giudizio che Dio riserverà a tutti gli uomini resuscitati. Così essi hanno in stima la vita morale e rendono culti a Dio soprattutto con la preghiera, l'elemosina e il digiuno. Se nel corso dei secoli numerose divisioni e inimicizie si sono avute, fra cristiani e musulmani, il Concilio li esorta a dimenticare il passato e a rafforzare sinceramente la mutua comprensione fino a progettare e a promuovere insieme, per tutti gli uomini, la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà».

            "Posizione nuova" e "innovatrice" capace, anche se non alla verifica di questi anni per il fondamentalismo islamico e le ritorsioni dell'occidente, di dare un ordine nuovo ai mutui e inevitabili rapporti. [73]

            Risalendo ancora più indietro, per delineare l'atteggiamento di papa Paolo VI verso i Musulmani, bisogna partire del discorso del 29 settembre 1963, all'apertura della seconda sessione del concilio:

«La Chiesa Cattolica guarda più in là, oltre i confini dell'orizzonte cristiano: come potrebbe metter limiti al suo amore, se essa deve fare Suo quello di Dio Padre, che riversa su tutti le sue grazie e che così ha amato il mondo, da dare per esso il suo Unigenito Figlio? Guarda dunque oltre la propria sfera e vede quelle altre religioni che conservano il senso e il concetto di Dio, unico, creatore, provvido, sincero e trascendente, che professano il culto di Dio con atti di sincera pietà e sulle quali credenze e pratiche fondano i principi della vita morale e sociale».

            Anche se l'Islam non è menzionato esplicitamente, il riferimento è chiaro. Non si parla ancora di dialogo, ma lo sguardo è denso di delicata solidarietà. Anche nella Notte di Natale del 1963, prossimo al pellegrinaggio in Terra Santa, il Papa si rivolse non solo ai cristiani di ogni confessione, ma anche ai Musulmani e agli Ebrei, adoratori del Dio Unico con paterne parole :

«Il nostro cuore, anche al di là della bandiera di Cristo, avrà grandi e nobili pensieri verso tutti i popoli della terra, vicini o lontani. Saluteremo con rispetto e cordialità tutti coloro, qualsiasi sia l'origine, che incontreremo sul nostro cammino».

            Numerosi i saluti e le parole di cordialità nel viaggio in Terra Santa. Questi interventi si concretizzarono nella creazione di un organismo specifico, capace di promuovere la comprensione mutua fra cattolici e credenti di altre religioni: il Segretariato per i non cristiani, annunciato dopo l'omelia di Pentecoste il 17 maggio 1964, con struttura analoga a quella del Pontificio Consiglio per l'unità  dei Cristiani. [74]

            La funzione di tale Segretariato sarà precisata nella allocuzione al Sacro Collegio il 23-06-1964, mettendo l'accento sul fatto che tale istituzione è per

«Donare una chiara dimostrazione della dimensione cattolica della Chiesa che, in questi tempi di clima conciliare non solo rinserra i suoi legami interni di buoni intenti, ma parimenti cerca al di fuori una piattaforma sulla quale possa dialogare e incontrarsi con tutti gli uomini di buona volontà». [75]

            Non va poi tralasciato l'intervento del 2 ottobre1967 all'Africa dove così  si rivolge ai Musulmani:

«Vogliamo esprimere la nostra stima per tutti i seguaci dell'Islam in Africa. Essi hanno principi comuni con il cristianesimo che ci danno occasione di allacciare un dialogo effettivo». [76]

            E a Kampala, in Uganda (31 luglio - 2 agosto 1969):

«Come esprimere la nostra soddisfazione e la nostra gratitudine per questo incontro che risponde al vostro vivo desiderio di salutare nelle vostre persone le grandi comunità musulmane sparse in tutta l'Africa? [...] Unitevi alla preghiera che noi rivolgiamo all'Onnipotente perché doni a tutti i credenti africani il desiderio del perdono e della riconciliazione che così spesso è raccomandato nel Vangelo e nel Corano [...] Celebrando i martiri Cattolici e anglicani, noi celebriamo anche quei confessori della fede musulmana che furono i primi a subire la morte perché rifiutarono di trasgredire i precetti della loro religione. Che il grande sole della pace brilli su questo paese, oscurato dal sangue che i suoi generosi figli delle Comunità Cattoliche, cristiane e musulmane hanno versato [...] E questo incontro con voi, rappresentanti dell'Islam, sia il simbolo e il primo passo di quella unità verso la quale Dio ci chiede di aspirare». [77]

            Ritroviamo parole simili nei discorsi del 1970 in Indonesia:

«La Chiesa non disconosce ciò che è vero e santo nelle religioni [...] guarda con stima i Musulmani [...] La Chiesa si fa parola, si fa messaggio, si fa dialogo». [78]

            Non va poi tralasciato l'interessamento per i Musulmani palestinesi di Terra Santa, per Gerusalemme, diventata città della riconciliazione nel rispetto dei diritti e delle aspirazioni di tutti i suoi abitanti e delle tre comunità che la reclamano propria. [79]

            "Stima", "principi comuni", "dialogo effettivo", "rispetto mutuo", "azione comune per promuovere i diritti dell'uomo" sono parole-programma confermate dal Suo atteggiamento di un progetto di dialogo che a tutt'oggi attende uomini di buona volontà sui diversi fronti.

5.4.     Il dialogo interreligioso

            Del viaggio in Turchia ci preme registrare ancora un passo dall'udienza del 2 agosto 1967, al ritorno dal viaggio ecumenico e interreligioso di così densa portata. E' inerente il dialogo intraecclesiale su un punto essenziale: la comprensione e la tematizzazione della fede, la Teologia.

«E' notissimo come i primi quattro Concili ebbero anche in Occidente indiscussa e suprema autorità. Fra le altre, si suole, a questo proposito, citare le parole del Papa Gregorio Magno (590-604), il quale, nell'epistola Sinodica da lui inviata ai patriarchi d'Oriente,  non esita ad affermare: dichiaro di accettare e di venerare, come i quattro libri del Santo Vangelo, così i quattro Concili (Eph. 1, 25; P1 77, 429; Hefele 2, 31-33) [...] ciò fa vedere due cose, ai nostri giorni, meritevoli di considerazione, e cioè fa vedere una dottrina autorevole e indiscutibile derivata, per opera del magistero ecclesiastico, dallo Studio e dal Culto della Sacra Scrittura; e come le definizioni promulgate dai Concili sono rimaste e devono rimanere nel contenuto, ed anche nelle formule che lo esprimono, immutabili. L'Oriente è Maestro; c'insegna come il credente è chiamato alla speculazione della verità rivelata, cioè alla formulazione di una teologia che possiamo dire scientifica (cfr. D.S., 3135 ss); ma altresì è obbligato al riconoscimento del carattere soprannaturale della verità svelata, il quale non consente di risolverla in termini di pura razionalità naturale ed esige un testuale rispetto anche alla terminologia con cui essa è stata autorevolmente enunciata (cfr. D.S., 824 - 442 -  2831 - 1658). L'Oriente ci dà l'esempio di fedeltà al patrimonio dottrinale e ci ricorda la norma, ch'è pur nostra, e spesso oggi da noi riaffermata, nell'insorgenza dei tentativi, tante volte ben intenzionati, ma non sempre riusciti, di esprimere una nuova teologia conforme alla mentalità contemporanea; la norma del Concilio Vaticano I, che auspica un progresso della "Intelligenza, scienza e sapienza della dottrina della Chiesa, perché tale dottrina rimanga sempre pari a se stessa. (cfr. De Fide, IV, Vincenzo Lerin, Commonitorium, 28; P. L. 50, 668) E all'Oriente, con il nostro viaggio, abbiamo voluto dare assicurazione che la fede nei Concili, celebrati in quella terra benedetta e riconosciuti dalla Chiesa latina come ecumenici, è tuttora la nostra fede; essa costituisce una base larga e molto solida per avviare gli studi intesi alla ricomposizione della perfetta comunione cristiana fra la Chiesa ortodossa e la Chiesa cattolica in quella dottrina univoca e ferma, che il magistero ecclesiastico, guidato dallo Spirito Santo, proclama autentica». [80]

Se abbiamo inteso bene, il pericolo da rimuovere è che il dialogo con la modernità svuoti i contenuti della fede, declinandoli sulle varie precomprensioni filosofiche, impedendo così il dialogo ecumenico, per la possibile contestazione che i contenuti della fede comune siano stati tarlati dalla storia.

6. IL VIAGGIO NEL CONTINENTE LATINO-AMERICANO

6.1      Il significato del viaggio: il dialogo intraecclesiale

            Anche di questo viaggio a Bogotà, in Colombia, per «Assistere alla conclusione del Congresso Eucaristico Internazionale [...] e per aprire subito dopo la Conferenza generale dei Vescovi dell'America Latina» [81] , intendiamo cogliere le finalità espresse fin dall'annuncio di un Pellegrinaggio che vuole porsi nella continuità di un magistero, che ha scelto il dialogo come contenuto e come stile, ma che rivela la difesa del dialogo offerto nella sua intenzionalità teologica ed ecclesiologica, per preservarlo da interpretazioni e atteggiamenti che svuoterebbero la "riserva" cristiana nei confronti della storia, riducendo il cristianesimo ad una delle tante ideologie.

            Rivolgendosi ai fedeli nella consueta udienza del Mercoledì confidava:

«Un viaggio come è ormai nostro costume, molto rapido, in aereo e molto breve, di due o tre giorni [...] per Noi costituisce un fatto singolare nella vicenda storica contemporanea della Chiesa; ed è per questa ragione che lo proponiamo a qualche vostra spirituale riflessione. La prima riflessione ripete quella provocata dalle nostre precedenti peregrinazioni: il Papa viaggia. Che vuol dire? Vuol dire, innanzi tutto, una sua riacquistata libertà di movimenti, che può essere iscritta in attivo delle sue presenti condizioni storiche e politiche; vuol dire ancora che la mobilità propria del costume moderno si insinua anche nelle abitudini piuttosto statiche della vita pontificia, non del tutto estranea perciò ai ritmi delle presenti fluttuazioni umane; e vuol dire, ed è ciò che più importa, che le vie del mondo sono aperte, anche logisticamente, al ministero del Papa: questo è molto significativo ed importante, e forse, con l'andar del tempo, potrà produrre notevoli cambiamenti nell'esercizio pratico del suo ufficio apostolico: già ne avvertiamo i sintomi nel moltiplicarsi degli inviti, che Ci provengono da ogni parte del mondo, non certo a profitto della regolarità e dell'intensità del Nostro lavoro in sede romana. L'avvenire risponderà. Ma fin d'ora la semplice ipotesi d'una maggiore facilità di spostamenti locali della persona e dell'attività del Papa lascia intravedere una più intensa eventuale circolazione di carità nella Chiesa, resa possibile da un fenomeno di maggiore evidenza della sua unità e della sua cattolicità. Ma lasciamo questi sogni, o presagi che siano». [82]

            Annotazione interessante quella riportata, dove il Papa stesso offre una interpretazione teologica e più propriamente ecclesiologica: "carità", "unità e cattolicità" rese visibili per la crescita spirituale dei fedeli.

            Anche il riferimento al mistero eucaristico che si propone di andare a venerare, nella ricchezza del suo significato di "memoria", "presenza", "promessa", aggiunge un particolare rilievo:

«Questo ci interessa a conferma odierna della dottrina eucaristica, dottrina capitale nella Chiesa, nei confronti della inettitudine, della ambiguità, degli errori, di cui soffre qualche parte della generazione nostra rispetto al mistero centrale dei nostri altari». [83]

            Potrebbe sembrare un cambiamento di registro, rispetto a quello che l'immaginario vorrebbe definire linguaggio dialogico e in contrasto con i propositi iniziali. Ma già nell'ES aveva ricordato:

«Lo spirito d'indipendenza ( e il pensiero teologico è ecclesiale!) di critica, di ribellione, male si accorda con la carità animatrice della solidarietà, della concordia, della pace nella Chiesa, e trasforma facilmente il dialogo in discussione, in diverbio, in dissidio, spiacevolissimo fenomeno, anche se purtroppo facile a prodursi, contro il quale la voce dell'apostolo Paolo ci premunisce: "non ci siano fra di voi degli scismi». (1. Cor. 1, 10)»(ES 66). [84]

            L'altro scopo del viaggio consiste "nell'inaugurare la seconda Assemblea generale dell'Episcopato latino-americano". E proseguiva alla vigilia della partenza il 21 Agosto 1968:

«Si dice che troveremo laggiù fermenti di insofferenza e di ribellione anche nelle file del Clero e dei Fedeli. Quanto ci pare di comprendere queste impazienze, in ciò che hanno di generoso e di positivo! Ma non potremmo essere sinceri con quanti fanno della verità e della carità legge a se stessi. Noi pensiamo che la soluzione a quelle tristi situazioni, tristissime in certi luoghi, non sia né la reazione rivoluzionaria, né il ricorso alla violenza. Per noi la soluzione è l'amore, non l'amore debole e retorico, ma quello che Cristo, nell'Eucarestia ci insegna, l'amore che si dona, l'amore che si moltiplica, l'amore che si sacrifica [...] Per noi non è più tempo di usare la spada e la forza, fossero pur queste sorrette da scopi di giustizia e di progresso; e confidiamo che tutti i buoni cattolici e tutta la sana opinione pubblica moderna siano dello stesso parere. Noi siamo invece convinti, e lo diremo laggiù, che è maturo il tempo dell'amore cristiano fra gli uomini; questo deve operare, questo deve mutare la faccia della terra, questo deve portare nel mondo la giustizia, il progresso, la fratellanza e la pace». [85]

            Quelli che papa Paolo VI coglie come modi non conformi di fare teologia, perché hanno il loro modello più nelle filosofie desunte dalla storia che dalle fonti bibliche, inevitabilmente tenderanno verso una metodologia consistente nella riduzione del messaggio cristiano a messaggio politico, con l'adozione di una strategia estranea al nucleo del Vangelo, e perciò in disaccordo con quell'istanza di dialogo che proviene dal riconosciuto primato della persona e dallo sforzo del comporre le parti contrapposte a causa di situazioni storiche, e non per il riconosciuto principio della necessaria dialettica-polemica.

            Papa Paolo VI crede ancora nell'utopia positiva del dialogo ed invita a credere e a lavorare con Lui:

«Desideriamo - e ripete ancora una volta la struttura circolare dell'ES. - che la celebrazione eucaristica [al Congresso] sia segno di unità, per il popolo credente e cattolico dapprima,  e sia richiamo affettuoso all'unità per tutti i cari fratelli cristiani, le cui riserve all'unica vera fede, donde nasce l'Eucarestia, mediante il sacerdozio e l'unzione sacramentale, non consentono ancora di "spezzare il pane" con noi, in un cuor solo ed un'anima sola (Act. 4, 32) E desideriamo la pace nel mondo, quando ancora oggi tanti conflitti ne nascondono o ne insanguinano il volto, il vero volto umano». [86]

            "Ansia" ed "amarezza" caratterizzarono la partenza da Roma. Il dialogo tra i popoli era umiliato dalle armi, si riscriveva un nuovo capitolo in cui la prepotenza dell'uomo sull'uomo sembrava vincere. Pur cosciente che quanto avveniva era contro tutto il lavoro di anni della Chiesa e lo spirito di pace riaffermato dal concilio, tuttavia  si dichiarò disposto anche a rinunciare a partire per ricucire lo strappo alla dignità dell'uomo:

«Noi non possiamo lasciarvi [...] senza confidarvi l'acerba amarezza e la grande ansia che pesano sull'animo Nostro a causa degli avvenimenti in corso nella Cecoslovacchia, saremmo disposti a rinunciare all'istante al nostro viaggio, se sapessimo che la nostra presenza e la nostra opera potessero servire a qualche cosa per impedire l'aggravarsi dei mali [...] Ancora una volta la forza delle armi sembra voler decidere della sorte di un popolo, della sua indipendenza, della sua dignità; la tranquillità dell'Europa è scossa, compromessa quella del mondo; e la pace, che la maturità dei tempi, anche per insopprimibile senso cristiano, va cercando e costruendo, dopo le fierissime esperienze delle guerre passate ed anche di quelle in corso, la pace è fieramente vulnerata, Dio voglia che non lo sia mortalmente. [...] E tanto più siamo addolorati di questa sciagura, quanto maggiormente noi stessi ci siamo fatti in questi anni disinteressati e ardenti apostoli della pace, ed abbiamo sperato che le diversità delle culture e degli interessi non dovessero finalmente compromettere una comune e leale cospirazione al mantenimento del diritto internazionale e alla progressiva collaborazione fra gli uomini del nostro tempo. Noi non vogliamo giudicare alcuno; ma come non risalire all'analisi dei principi, donde simili sventure sembrano naturalmente scaturire?». [87]

6.2. L'incontro con l'Episcopato: l'azione della Chiesa. Il compito del Magistero per un dialogo autentico

            Degli interventi a Bogotà è da segnalare l'intera Omelia in occasione della Ordinazione di duecento tra presbiteri e diaconi. Recitata sotto forma di preghiera a Cristo, il Mediatore tra Dio e l'umanità, ricupera, nel servizio di mediazione che il sacerdote deve vivere, il "dialogo" come struttura della sua identità. Dialogo con Dio che forma la riserva di spiritualità che caratterizza ogni mediazione con la società:

«O Signore, fa che comprendiamo. Dobbiamo imparare ad amare gli uomini così. Poi, così a servirli! [...] Saremo capaci di comprendere i loro affanni e di trasformarli, non nella collera e nella violenza, ma nella energia forte e pacifica di opere costruttive. Avremo caro che il nostro servizio sia silenzioso (MT. 6, 3) e disinteressato (Mt. 10, 8) sincero nella costanza, nell'amore e nel sacrificio; fiduciosi che la tua virtù lo renderà un giorno efficace (Gv. 4, 37). Avremo sempre davanti e  dentro lo spirito della tua Chiesa [...] pellegrinante verso l'eterna meta». [88]

            Il dialogo promesso a Roma, sincero, piegato nell'atto di aggiungere alla Chiesa nuovi ministri del Vangelo, della santificazione e della promozione dell'uomo, diventa linea programmatica, dell'incontro fraterno" con l'episcopato latino-americano, sentito come un "indirizzo" a "Fratelli più forti e più bravi di noi", un incoraggiamento a "non temere" perché la presente è "per la Chiesa un'ora di coraggio e di fiducia nel Signore".

            I tre indirizzi - spirituale, pastorale, sociale - ricalcano le tradizionali funzioni della Chiesa: santificare, evangelizzare, promuovere.

            A noi, per il nostro studio sulla "continuità" dell'ES all'esercizio del magistero nei momenti salienti dei viaggi, interessano alcuni punti che chiarificano che cosa papa Paolo VI pensasse del rapporto tra magistero e teologia nell'ordinario esercizio della funzione dei vescovi uniti al Papa su punti scottanti che l'America Latina, ma anche un po' tutto l'occidente, andava registrando nell'impatto con la situazione storica e filosofica.

            Già abbiamo richiamato dell'ES. i numeri 49 e 50, dove papa Paolo VI metteva in guardia dai rischi di un dialogo che si faccia "attenuazione" o "diminuzione" della verità, "debolezza" rispetto all'impegno che la fede comporta. Nel n. 51 aveva chiesto al concilio "trattando delle questioni relative alla Chiesa operante nel mondo moderno di indicare alcuni criteri teorici e pratici che serviranno da guida per bene condurre il nostro dialogo con gli uomini del tempo nostro".

            Si era augurato che "trattandosi di questione riguardante da un lato la missione propriamente apostolica della Chiesa e concernente dall'altra, le varie e mutevoli circostanze in cui essa si svolge", diventasse "opera del saggio e attivo governo della Chiesa stessa tracciare di volta in volta limiti e forme e sentieri per la continua animazione di un dialogo vivo e benefico"(ES 51). [89]

«La fede è la base, è la radice, è la fonte, è la prima ragione dell'essere della Chiesa, ben lo sappiamo. E sappiamo anche quanto essa è oggi insidiata dalle correnti più eversive del pensiero moderno. La diffidenza che anche negli ambienti cattolici, si è diffusa sulla validità dei principi fondamentali della ragione, ossia della nostra "philosophia perennis", che ha disarmati di fronte agli assalti, spesso radicali e capziosi, di pensatori di moda,; il "vacuum", lasciato nelle nostre scuole filosofiche dell'abbandono della fiducia nei grandi maestri del pensiero cristiano, è spesso invaso da una superficiale, e quasi servile accettazione di filosofie di moda, spesso altrettanto sempliciste che astruse e questo hanno scossa la nostra normale, umana, sapiente arte del pensare la verità; siamo tentati di storicismo, di relativismo, di soggettivismo, di neopositivismo, che nel campo della fede inducono uno spirito di critica sovversiva ed una falsa persuasione che per avvicinare ed evangelizzare gli uomini del nostro tempo, dobbiamo rinunciare al patrimonio dottrinale, accumulato da secoli dal magistero della Chiesa e che possiamo modellare, non tanto per migliore virtù di chiarezza espositiva, ma per alterazione del contenuto dogmatico, un cristianesimo nuovo, su misura dell'uomo e non su misura dell'autentica parola di Dio. Purtroppo anche fra noi alcuni teologi non sono sempre sulla buona via. Noi abbiamo grande stima e grande bisogno della funzione dei buoni e bravi teologi; essi possono essere provvidenziali, studiosi e valenti espositori della fede, se essi stessi si conservano intelligenti discepoli del magistero ecclesiastico, costituito da Cristo custode ed interprete, per virtù dello Spirito Paraclito, del suo messaggio di eterna verità [...] Ma oggi taluni ricorrono ad espressioni dottrinali ambigue, e altri si arrogano la licenza di enunciare opinioni loro proprie, alle quali conferiscono quell'autorità, che essi, più o meno copertamente contestano a chi per diritto divino possiede tale vigilantissimo e formidabile carisma; e perfino consentono che ciascuno nella Chiesa pensi e creda ciò che vuole, ricadendo così in quel libero esame che ha frantumato l'unità della Chiesa stessa, e confondendo la legittima libertà della coscienza morale con una malintesa libertà del pensiero, spesso aberrante per l'insufficiente conoscenza delle genuine verità religiose». [90]

            Parole durissime che sembrerebbero impedire al teologo di ottemperare al dovere della ricerca e di ricondurre la teologia alla situazione preconciliare, a mera cassa di risonanza della teologia del magistero. Se leggiamo bene, l'attenzione dei vescovi, come subito dopo ricorderà, non è tanto sulla teologia come esplicitazione del Messaggio, ma sulle premesse filosofiche che regolano la comprensione della fede, perché la teologia che papa Paolo VI propone è quella del Concilio:

«La Costituzione pastorale del Concilio Gaudium et Spes offre insegnamenti ed incitamenti di ampia ricchezza e di alto valore». [91]

            Il teologo e la teologia sono riportate dentro l'alveo della compagine ecclesiale in dialogica sintonia e arricchimento, dalla quale derivano lo slancio pastorale per "purificare e autenticare il vero culto cattolico, fondato sul dogma, e cosciente del mistero pasquale ch'esso racchiude, rinnova e comunica". E poi tutta quella vitalità catechetica e di promozione culturale della vita dei fedeli che conduce "al dialogo con i fratelli separati, sui drammi, ora grandi e belli, ora tristi e pericolosi della civiltà contemporanea" . [92]

            Per quanto concerne "l'indirizzo pastorale":

«Ci sembra opportuno richiamare due punti dottrinali a questo riguardo: il primo è la dipendenza della Carità verso il prossimo dalla Carità verso Dio. Voi sapete quale assalto subisca ai nostri giorni questa dottrina di chiarissima e inoppugnabile derivazione evangelica: si vuole "secolarizzare" il cristianesimo, trascurando cioè il suo essenziale riferimento alla verità religiosa (o facendo consistere la religione nel legame con qualcosa di immanente) alla comunione soprannaturale con l'ineffabile e inondante carità di Dio verso gli uomini e al dovere della risposta umana obbligata ad osare di amarlo e di chiamarlo Padre e di poter così chiamare in verità fratelli gli uomini; per liberare il cristianesimo stesso da "quella forma di nevrosi che è la religione" (Cox) per bandire ogni preoccupazione teologica e per dare al cristianesimo una nuova efficacia, tutta pragmatica, la sola che ne possa misurare la verità e che lo renda accettabile e operante nella moderna civiltà profana e tecnologica». [93]

            L'altro punto dottrinale riguarda la Chiesa cosiddetta istituzionale posta a confronto con un'altra presunta Chiesa cosiddetta carismatica, quasi che la prima, comunitaria, gerarchica, visibile e responsabile, organizzata e disciplinata, apostolica  e sacramentale, sia una espressione del cristianesimo ormai superata, mentre l'altra, spontanea e spirituale, sarebbe capace di interpretare il cristianesimo per l'uomo adulto della civiltà contemporanea, e di rispondere ai problemi reali e urgenti del nostro tempo:

«Faremo, sì uno sforzo di intelligenza amorosa per capire quanto di buono e di ammissibile si trovi in queste forme inquiete e spesso aberranti di interpretazione del Messaggio cristiano, per purificare sempre più la nostra professione cristiana e riportare queste esperienze spirituali, si chiamino secolari le une, carismatiche le altre, nell'alveo della vera norma ecclesiale » [94] che ancora una volta  - per Paolo VI - è la Chiesa uscita dal Concilio.

            Il terzo "indirizzo", quello sociale, prende le mosse dall'analisi della società in fermento per indicare quale sia la retta analisi della Chiesa dal di dentro della società.

«Se noi dobbiamo favorire ogni onesto sforzo per promuovere il rinnovamento e l'elevamento dei Poveri e di quanti vivono in condizioni di inferiorità umana e sociale, e se noi non possiamo essere solidali con sistemi e strutture che coprono e favoriscono gravi ed opprimenti sperequazioni fra le classi e i cittadini d'un medesimo paese, senza porre in atto un piano effettivo per rimediare alle condizioni insopportabili di inferiorità di cui spesso soffre la popolazione meno abbiente, Noi ripetiamo ancora una volta a questo proposito: non l'odio, non la violenza sono la forza della nostra carità. Fra le diverse vie verso una giusta rigenerazione sociale, noi non possiamo scegliere né quella del marxismo ateo, né quella della rivolta sistematica, né tanto meno quella del sangue e dell'anarchia. Distinguiamo le nostre responsabilità da chi invece fa della violenza un nobile ideale, un glorioso eroismo, una compiacente teologia. Per riparare errori del passato e per guarire malanni presenti non commettiamo falli nuovi: essi sarebbero contro il Vangelo, contro lo Spirito della Chiesa, contro gli stessi interessi del popolo, contro il genio felice dell'ora presente che è quello della giustizia in cammino verso la fratellanza e la pace». [95]

            Anche qui, per papa Paolo VI, bisogna ripartire dal pensiero della Chiesa più che dalle ideologie, pensiero espresso e "che faremo bene a studiare e divulgare": le Encicliche dei Papi, gli insegnamenti dell'Episcopato mondiale, e quelle lettere della società che nascono dal profondo senso ecclesiale: cita tra le altre il Documento dei Padri Salesiani di tutta l'America Latina radunati a Caracas. E conclude:

«Le testimonianze della Chiesa alla verità nel terreno sociale non mancano: procuriamo che alle parole, rispondano i fatti». [96]

Quanto abbiamo riportato è coerente con quanto nell'ES papa Paolo VI affidava come compito di dialogo del magistero:

«La Chiesa non ignora le formidabili dimensioni di una tale missione[...] La Chiesa avverte la sbalorditiva novità del tempo moderno, ma con candida fiducia si affaccia sulle vie della storia e dice agli uomini: io ho ciò che voi cercate, ciò di cui voi mancate. Non promette così la felicità terrena, ma offre qualche cosa - la sua luce, la sua grazia - per poterla, come meglio possibile, conseguire; e poi parla agli uomini del loro trascendente destino. E intanto ragiona ad essi di verità, di giustizia, di libertà, di progresso, di concordia, di pace, di civiltà. Sono parole di cui la Chiesa conosce il segreto, Cristo glielo ha confidato. E allora la Chiesa ha un messaggio per ogni categoria di uomini [...], per il mondo del lavoro e per le classi sociali [...] per i poveri specialmente, per i diseredati, per i sofferenti, perfino per i morenti. Per tutti» (ES 53). [97]

7. VISITA AL CONSIGLIO MONDIALE DELLE CHIESE E ALLA ORGANIZZAZIONE INTERNAZIONALE DEL LAVORO (OIT) (10-06-1969)

7.1. Il senso del viaggio

            Scrive P. Poupard [98] :

«C'è forse bisogno di aggiungere che Paolo VI, che ha elaborato la teoria del dialogo nella sua Enciclica ES, la concretizza in ogni occasione, ivi compresi filosofi, teologi, moralisti, sociologi ed economisti moderni?».

            Il viaggio a Ginevra, in un solo giorno, ha verificato la tenuta del dialogo montiniano su tutti i fronti indicati dall'Enciclica.

            Dialogo con il mondo, all'Organisation Internationale du Travail (OIT), in una coordinata fondamentale del vivere umano e sociale, il lavoro; dialogo interreligioso con il breve incontro con l'imperatore di Etiopia; dialogo ecumenico con la visita al Consiglio mondiale delle Chiese; dialogo intraecclesiale nell'omelia della Messa per i cattolici della Svizzera con la loro gerarchia.

            Giornata che Egli stesso, al commiato dalla Svizzera per il ritorno a Roma, considera di capitale importanza:

«Che un Papa sia potuto venire a Ginevra ed abbia potuto avervi contatti così cordiali con le Autorità internazionali, con i Rappresentanti qualificati delle famiglie religiose non cattoliche, ecco a noi sembra veramente uno dei segni dei tempi che l'ottimismo cristiano del nostro indimenticabile predecessore Giovanni XXIII sapeva egregiamente scoprire in seno alle immense trasformazioni del mondo moderno». [99]

            Degli incontri di quella giornata, ai fini del nostro studio, tendente a stabilire la continuità tra la programmazione del pontificato (ES) e la realizzazione sul versante degli innumerevoli problemi che il mondo moderno pone alla Chiesa e alla teologia, abbiamo tenuto in particolare conto i due momenti più significativi per una teologia della realtà terrene e per una teologia ecumenica con particolare riferimento al papato.

7.2.     Il dialogo con il mondo del lavoro

            Scriveva Paolo VI nell'ES:

«Abbiamo verità morali, vitali, da mettere in evidenza e da corroborare nella coscienza nuova, per tutti benefiche. Dovunque è l'uomo in cerca di comprendere se stesso e il mondo, noi possiamo comunicare con Lui; dovunque i consessi dei popoli si riuniscono per stabilire diritti e doveri dell'uomo, noi siamo onorati, quando ce lo consentono, di  assiderci fra loro. Se esiste nell'uomo un'anima naturalmente cristiana, noi vogliamo onorarla della nostra stima e del nostro colloquio. Noi potremmo ricordare a noi stessi e a tutti come il nostro atteggiamento sia, da un lato, totalmente disinteressato: non abbiamo alcuna mira politica o temporale; dall'altro, sia rivolto ad assumere, cioè ad elevare a livello soprannaturale e cristiano ogni onesto valore umano e terreno; non siamo la civiltà, ma fautori di essa»(ES 54-55). [100]

            E presentandosi all'OIT tiene subito a precisare:

«La nostra missione spirituale non interviene al di fuori del proprio ambito. Se noi siamo qui è [...] per rispondere all'invito che voi ci avete così amabilmente rivolto [...]. Noi non siamo tuttavia per nulla estranei a questa grande causa di lavoro che costituisce la vostra ragion d'essere». [101]

            Il respiro teologico che papa Paolo VI dà al suo discorso si amplia su due direttrici, la mondializzazione del problema

«La questione sociale - come ebbe a dire nell'Enciclica Populorum Progressio del 1967 - è diventata mondiale, con le conseguenze che ne derivano per lo sviluppo integrale e solidale dei popoli. Lo sviluppo è il nuovo nome della pace». [102]

e l'umanizzazione come principio dinamico etico dato da Dio stesso:

«Fin dalla sua prima pagina, la Bibbia, di cui noi siamo il messaggero, ci presenta la Creazione come originata dal Creatore e affidata al lavoro della creatura il cui sforzo intelligente deve metterla a frutto, perfezionarla, per così dire umanizzarla». [103]

            Il riferimento teologico continuo, nello spirito come nella lettera, è il concilio e la sua Costituzione Pastorale:

«Noi stessi avevamo la gioia al termine del Concilio Ecumenico Vaticano II, di promulgare la Costituzione pastorale Gaudium et Spes elaborata dai Vescovi del mondo intero. La Chiesa vi riafferma il valore del gigantesco sforzo dell'attività umana individuale e collettiva, la prevalenza del lavoro degli uomini sugli altri elementi della vita economica, che non hanno che il valore di strumenti e con i diritti imprescindibili e i doveri che richiede un tale principio». [104]

            Papa Paolo VI richiama con forza quel principio:

«La concezione moderna [del lavoro] è fondata su un principio fondamentale che il cristianesimo, da parte sua, ha regolarmente messo in luce: nel lavoro è l'uomo che è il primo. Che sia artista o artigiano, imprenditore, operaio e contadino, manovale o intellettuale (e qui supera un certo equivoco inerente al lavoro che nella GS sembrava essere solo quello delle masse operaie), è l'uomo che lavora, è per l'uomo che egli lavora. E' dunque, finita la priorità del lavoro, la supremazia delle esigenze tecniche ed economiche sui bisogni umani». [105]

            La realizzazione di questo principio, umanizzante la società del lavoro, ha bisogno del concorso di tutte le forze in questione:

«Voi affinate a poco a poco, fate progredire la coscienza morale dell'umanità. Compito certamente arduo e delicato; ma così alto che chiede la collaborazione di tutti i veri amici dell'uomo. Come non gli apporteremmo Noi la nostra adesione e appoggio?». [106]

            Il dialogo diventa poi voce di chi non ha voce:

«Permetteteci di essere davanti a voi l'interprete di tutti quelli che soffrono ingiustamente, che sono ingiustamente sfruttati, oltraggiosamente dileggiati nei loro corpi e nelle loro anime, avviliti da un lavoro degradante sistematicamente voluto, organizzato, imposto. Ascoltate questo grido di dolore che continua a salire dall'umanità sofferente!». [107]

            La causa del male, che impedisce l'autentico progresso, è insita in una filosofia perversa che guadagna consenso perché favorisce la legge del profitto:

«E' contro l'uomo che dovete difendere l'uomo, l'uomo minacciato di non essere altro che una parte di se stesso, ridotto come si è detto, a una sola dimensione  [cfr. per es. H Marcuse, L'uomo a una dimensione]. Bisogna ad ogni costo impedirgli di non essere che il fornitore meccanizzato di una macchina cieca, divoratrice della parte migliore di lui stesso o di uno stato che cerca di asservire tutte le energie al suo solo servizio [108] [...] Capitalismo assoluto e statalismo assoluto, sono contro il principio di "partecipazione" di tutti i popoli alla costituzione del mondo». [109]

            L'impegno deve superare la visione angusta di sfruttare "il presente" per guardare "al domani" in uno sforzo educativo delle nuove generazioni.

«A questo pacifico combattimento i discepoli di Cristo intendono partecipare di vero cuore. Poiché, se è necessario che tutte le forze umane collaborino a questa promozione dell'uomo, bisogna mettere lo spirito che gli spetta, il primo, perché lo Spirito è Amore». [110]

            Chiudendo, ricupera pienamente l'intenzionalità del concilio di porre la Chiesa, per la legge dell'Incarnazione, a pieno titolo nel crogiolo della storia, ma con il compito specifico di indicare il fine della storia per la riserva escatologica che Cristo ha posto nel cuore della testimonianza cristiana.

«Questa costruzione sorpassa le sole forze dell'uomo. Ma il Cristiano lo sa, egli non è solo con i suoi fratelli in questa opera d'amore, di giustizia e di pace, in cui egli vede la preparazione e la garanzia della città eterna che egli aspetta dalla grazia di Dio». [111]

7.3.     Il dialogo ecumenico

Il discorso tenuto durante la visita al Consiglio Ecumenico delle Chiese investe un particolare interesse, data anche la singolarità dell'evento. Ecco la risposta alla domanda: "la Chiesa cattolica deve diventare membro del Consiglio Ecumenico?" [112]

«In tutta franchezza, noi non riteniamo che la questione [...] sia matura [...] Essa comporta gravi implicazioni teologiche e pastorali; esige di conseguenza studi approfonditi, ed impegna un cammino che l'onestà obbliga a riconoscere che potrebbe essere lungo e difficile». [113]

            Pensiamo soprattutto alla natura sacramentale della Chiesa e ai ministri ordinati; alla funzione del magistero dei Vescovi e del Papa in riferimento alla Chiesa. Un successivo punto da registrare è l'orientamento "pratico" del dialogo ecumenico sui due binari: il primo, teologico, con i suoi tempi di maturazione, con particolare attenzione alla «Riflessione teologica sull'unità della Chiesa, la ricerca di una migliore comprensione del significato del culto cristiano, la formazione profonda del laicato, la presa di coscienza delle nostre comuni responsabilità e il coordinamento [...] della non-credenza, delle tensioni tra le generazioni e delle relazioni con le religioni non cristiane». [114] L'altro binario è inerente alla formazione che a "livello locale il popolo cristiano" deve ricevere "per formarsi al dialogo e alla collaborazione ecumenica", come lo stesso Vaticano II esorta e affida alla direzione dei Vescovi (cfr UR) e il Direttorio ecumenico precisa. L'urgenza di questa premessa al dialogo sta nel fatto che così dice il decreto conciliare [115] :

«La nostra prima preoccupazione è maggiormente la qualità di questa multiforme cooperazione che la semplice moltiplicazione delle attività. Ecumenismo vero non c'è senza interiore conversione»

7.4. Il ministero di Pietro

            C'è ancora una dovuta sottolineatura al di dentro del discorso del Papa, inerente al suo ministero e alla concezione che egli ha del ministero petrino. Già altre volte abbiamo dovuto registrarla, ma qui, fin dalla presentazione di sé, è eclatante e, dato il contenuto, sorprendente:

"Eccoci  dunque in mezzo a voi. Il nostro nome è Pietro". [116]

            Abbiamo trovato in J. Pierre Torrell [117] un'analisi attenta, anche se al di dentro di una problematica più ampia, inerente all'influsso di Paolo VI sulla ecclesiologia del Vaticano II, e particolarmente sul 3° capitolo della LG, in riferimento al problema della collegialità, connesso al primato papale. L'autore dichiara di aver preferito i testi "minori", quelli,  per intenderci, delle Udienze del Mercoledì, e le allocuzioni di circostanza ai testi ufficiali, per cogliere meglio il sentire di papa Paolo VI e la derivante coscienza del suo ruolo. Il risultato tende a mettere in mostra che la formazione teologica di papa Paolo VI, lo porta ad essere più in linea con l'ecclesiologia, con la concezione del papato e dell'episcopato del Vaticano I, che non con quella del Vaticano II, che vede solo come completamento di quella impostazione gerarcologica, romanocentrica e papocentrica. Riscontra, e questo interessa molto il nostro studio, due tipi di interventi, uno ad "intra", di tipo tradizionale, autoritario, e uno ad "extra" (dei competenti) per il dialogo ecumenico, i rapporti chiesa-mondo. [118]

            Dal sentire "misteriosamente" il proprio ruolo all'esercizio secondo principi di autorità nei confronti del concilio, rivela una ecclesiologia più legata alla Mistici Corporis, che è radicata sulla nozione di "Popolo di Dio" di cui mai compare nell'ES il rimando.

            Saremmo di fronte ad un uomo al quale, più di una volta, è mancata la teologia delle sue intuizioni, per cui culturalmente "moderno" e "liberale", finisce per apparire a chi lo ascolta, o lo legge come Papa, un conservatore? Comunque si voglia giustificare "siamo lontanissimi da una ecclesiologia eucaristica che vede la comunità ecclesiale autenticamente realizzata dovunque si celebri l'Eucarestia intorno ad un successore degli Apostoli". [119]

            A noi sembra che talvolta nel giudizio di una persona, di un avvenimento, di un periodo, di una questione, si vada senza un adeguato e dichiarato criterio unitario di giudizio. Nel caso di papa Paolo VI o del concilio e della sua ecclesiologia, la precomprensione pare sia costituita da un "prima", considerato negativo, e da un "dopo", che deve necessariamente essere in rottura con quanto era prima; così, da una concezione della Chiesa gerarcologica, statica, come quella che confluisce nella Mistici Corporis, dalla quale si ricaverebbe una concezione autoritaria e di equilibrio di poteri e di supremazie, a quella "conciliare", necessariamente dinamica con una interpretazione dei ruoli, espressione o emanazione del popolo di Dio.

            Per questa strada, il giudizio su papa Paolo VI non coglie il come egli abbia compreso ed interpretato il suo ruolo ed in riferimento a quali principi; ma interventi e discorsi vengono esaminati secondo precomprensioni estranee, indebitamente applicate.

            Papa Paolo VI, come ogni cristiano, sa benissimo che nell'apostolicità, come nel ministero di Pietro c'è qualcosa di unico in riferimento a Cristo, che non è trasmissibile attraverso la successione apostolica e che il problema della Chiesa in generale e dei ministeri ordinati, è di natura sacramentale, come recita al n. 1 la Lumen Gentium. Pertanto la "continuità" del suo pensiero ecclesiologico è rilevabile non in chiave di tradizionalismo o modernità, ma, come egli stesso tematizza nell'ES, deriva dal suo riferimento al Deposito della Rivelazione, fondamentale per la coscienza che la Chiesa deve avere di se stessa "a propria istruzione ed edificazione

"Dottrina non mai abbastanza studiata e compresa [...] misteriosa riserva dei misteriosi disegni divini che mediante la Chiesa vengono notificati, e come quella che costituisce oggi il tema più di ogni altro interessante, la riflessione di chi vuol essere docile seguace di Cristo, e tanto più di chi, come Noi e come voi, venerabili fratelli, lo Spirito Santo ha posto quali vescovi a reggere la medesima Chiesa di Dio" (cfr. Act. 20, 28 e ES, 3). [120]

            L'urgenza del recupero per la Chiesa di rinnovata coscienza non è dunque estraneo al piano della storia, fosse anche questa il concilio (ben lontano dalle sue conclusioni) o alla teologia, anche se di una teologia si deve servire per trasmettere il suo pensiero, ma sul versante del "sempre" della fede che è la scrittura, la tradizione nella sua continuità, la spiritualità nella sua essenzialità. Dal di dentro di questa riflessione è scoperta la necessità dell'apertura, del confronto con tutto ciò che deriva dal "nuovo", dal "mutabile" che la storia offre alla Chiesa. Ma questo "aggiornamento" o "adattamento" rinnovamento non è assolutizzato, non diventa la norma normante l'essere della Chiesa nella sua natura, struttura, missione.

            Può certo, il "nuovo" aiutare a correggere i difetti.

«Deriva perciò un bisogno generoso e quasi impaziente di rinnovamento, di emendamento cioè dei difetti, che questa coscienza, quasi un esame interiore allo specchio del modello che Cristo di sé ci lasciò, denuncia e rigetta [...] Quale sia cioè il dovere odierno della Chiesa [...] per intraprendere le dovute riforme, ma per avere altresì dalla vostra adesione consiglio ed appoggio in così delicata e difficile impresa» (ES 4). [121]

            Non sudditanza da ciò che la storia e certo pensiero o cultura pensano della Chiesa, anche nel dialogo ecumenico e delle Sue strutture o della sua compagine, ma discernimento di tutto ciò che la può riportare alla purezza originale, liberandola, di fatto, dalla stagnazione dello spirito, mondanizzazione delle strutture, magmatizzazione del pensiero (cfr ES 27). Un "dialogo" che non partisse da questa "natura" della Chiesa sempre in dialogo con Cristo e sempre in dialogo con il mondo a partire da Cristo, non gioverebbe alla Chiesa, ricondotta a principi sociologici, umanitari, psicologici e non gioverebbe al mondo, privato di quello che è lo specifico cristiano, la comunione, la diversità dell'unità come premessa del Regno (cfr ES 26. 35).

            Ognuno, al di dentro di questo, porta la propria cultura e sensibilità, personalità e condizionamento storico, ma dovrebbe essere finito il tempo in cui la fedeltà al Vangelo di un Papa, dei vescovi e della Chiesa è misurata in rapporto ad un avvenimento anch'esso verificabile nell'autenticità in rapporto al deposito della Rivelazione.

            Nel presentarsi al Consiglio della Chiesa non lo fa equivocamente: "Noi siamo Pietro" lasciando intendere che Egli lo dice per affermare il Vaticano I, né, per amore del dialogo, chiede di studiare come debba essere chiamato: «Il nostro nome è Pietro. E la Scrittura ci dice quale significato Cristo ha voluto attribuire a questo nome». [122]

Indica subito la piattaforma del dialogo: la Scrittura:

«Pietro è pescatore di uomini, Pietro è pastore. Per ciò che riguarda Noi, siamo convinti che il Signore ci ha concesso, senza alcun merito da parte Nostra, un ministero di comunione. Certamente non per isolarci da voi [...] ma bensì per lasciarci il precetto e il dono dell'amore, nella verità e nella umiltà» (cfr. Eph. 4, 15; Gv 13, 14). [123]

In conclusione, quando, rivolgendosi al Clero e al laicato, chiede non solo a se stesso, ma ad ogni cattolico:

«La lealtà è una virtù che il mondo moderno giustamente si meraviglierebbe di non trovare in un discepolo di Cristo, così nemico di ogni ipocrisia e di ogni slealtà. Gli renderete testimonianza con la vostra capacità di collaborare, virtù anche questa così essenziale, specialmente nel mondo pluralista di oggi. Gli renderete testimonianza col vostro disinteresse personale e con l'interesse sincero che voi saprete avere verso tutte le buone cause. Gli renderete infine testimonianza con una professione della vostra fede, ispirata alla discrezione, ma non per questo meno franca, coraggiosa, e piena d'amore». [124]

8.  IL VIAGGIO IN UGANDA

«Vi diremo che fra le varie esperienze che la Provvidenza ha riservato al nostro ministero - e non sono tutte della stessa qualità - questa è veramente una delle più consolanti; e ringraziamo proprio per primo il Signore e invitiamo anche voi a ringraziarlo della buona riuscita di questa nostra escursione africana». [125]

            Così qualificava papa Paolo VI il suo ottavo viaggio intercontinentale, all'Angelus di domenica 3 agosto 1969.

            Ancora una volta i grandi temi dell'ES ritrovavano la conferma della volontà del proposito iniziale:

«Ci sentiremo particolarmente obbligati a rivolgere non solo la Nostra vigilante e cordiale attenzione, ma l'interessamento altresì più assiduo ed efficace, contenuto, sì, nell'ambito del Nostro ministero ed estraneo perciò ad ogni interesse puramente temporale e alle forme propriamente politiche, ma premuroso di contribuire alla educazione dell'umanità [...] ad ogni civile e razionale pacifico regolamento dei rapporti fra le nazioni; e sollecito parimenti di assistere [...] per coadiuvare [...] a rendere fratelli gli uomini, in virtù appunto del Regno [...] inaugurato dalla venuta di Cristo nel mondo» (ES. 6). [126]

            Il dialogo intraecclesiale, ecumenico, interreligioso, con l'umanità tutta, anche in questa occasione portato nel concreto di una realtà in fermento come l'Africa, ha come sfondo il rapporto della fede con le culture e come queste possono, con il lievito cristiano, crescere fino a diventare esse stesse missionarie, chiesa nel senso più realizzato della parola.

8.1.     Il perché del viaggio

            Come sempre è il Papa stesso a circoscrivere il significato del viaggio nella continuità del suo mandato apostolico. Il primo annuncio è in data 19 marzo, nell'udienza del Mercoledì e non ci stancheremo di sottolineare come, ancora una volta, il riferimento formale e contenutistico all'ES. sia immediato:

«Vi daremo [...] una notizia [...] siamo stati invitati da numerosi Vescovi e Fedeli di fare visita in Africa, e precisamente in Uganda dove fervono i lavori per il nuovo Santuario e dove è eretto un altare in onore dei Martiri africani, che noi abbiamo avuto la felice ventura di canonizzare [...] Si tratterà anche questa volta di un viaggio veloce [...] con la previsione, per Noi desideratissima, di incontrarvi parecchi Vescovi del continente africano, già colà convocati per una loro riunione. Avremo nel cuore i destini spirituali e civili di tutta l'Africa; avremo nella preghiera e nell'ansia del nostro spirito la pace di quei popoli [...]. Questo nuovo viaggio porti con sé i doni della Fede, della pace e del vero benessere per tutta quella Terra». [127]

            Ritorna sull'argomento nell'imminenza del viaggio, il 27 luglio, domenica all'Angelus:

«Viaggio [...] molto intenso di incontri, di discorsi, di cerimonie, con la semplicità e la dignità che piace agli Africani [...] E' una visita [...] che crediamo conforme al nostro ministero pontificio. Sceglie l'Uganda perché di là è venuta [...] una stupenda testimonianza cristiana [...] alla fede e alla Chiesa [...] pagina missionaria e moderna Vi è di che essere ammirati ed edificati ed anche confusi al confronto di un simile cristianesimo [...] con il nostro, che ora non definiamo». [128]

Il 30 luglio alla vigilia della partenza, mercoledì dell'udienza:

«Domani, a Dio piacendo [...] partiremo per l'Africa. Andiamo a Kampala, nell'Uganda per la conclusione del "simposio" dei vescovi africani [...] Avremo anche un incontro ecumenico con rappresentanti di comunità di cristiani, non ancora in comunione con la Chiesa cattolica, ma degni di una Nostra particolare considerazione, per essere essi pure decorati dal sangue di loro vittime per il nome di Cristo e a noi Fratelli a causa del comune battesimo. Vedremo anche altri autorevoli esponenti di religione non cristiane, vedremo soprattutto grandi folle di Popolo di quella terra [...] Un vero contatto con l'Africa, il primo che un Papa ha personalmente con quell'immenso continente». [129]

            Il Papa registra anche una contestazione del suo viaggio

«[E questa]  arriva come un dardo nel Nostro spirito: perché il Papa non va anche, e in primo luogo, nelle regioni d'Africa dove sono maggiori sofferenze [...] lotta [...] distruzione per le armi [...] agonia della fame? [...] Credete voi che Noi siamo insensibili davanti a tanta calamità e che preferiamo andare dove la situazione appare tranquilla e ordinata e dove la festa e la letizia della gente ci accoglieranno? [...] Una nostra visita [...] si prospetta impossibile, per difficoltà logistiche e per le interpretazioni politiche ch'essa susciterebbe e che renderebbero ancora più grave la situazione, togliendo anche quel tanto di speranza che il Nostro imparziale interessamento può forse ancora consentire. Abbiamo tentato altre vie. Alludo a quelle della Croce Rossa internazionale, al ponte aereo per gli aiuti di prima necessità». [130]

            Attraverso questo apparentemente marginale episodio, vorremmo segnalare che il dialogo con il quale papa Paolo VI interpretava il suo ministero, è entrato in una nuova stagione che è ricordata con il nome di contestazione. Dentro e fuori la Chiesa, al di là del pensiero dialettico precedente che ad un modo di essere contrappone il non-essere, qualcosa che non ha importanza se ancora non è definito.

            Per chi era cresciuto alla scuola ottimistica del dialogo e ne aveva fatta una cultura, perché era convinto che per portare la propria verità bisogna prima mettersi in atteggiamento di ascolto e quasi di immedesimazione dell'altro, di fronte alla cultura del non-essere rimane solo la sensazione amara e dolorosa del dolore, della ferita, della sorpresa, della vertigine, del nulla, del non-essere della Chiesa: così noi intendiamo tante espressioni di papa Paolo VI di fronte alla contestazione che dal 1968 attraverserà tanta parte degli anni '70

8.2. Il dialogo intraecclesiale

            La concezione della Chiesa cattolica ed insieme africana venne espressa parlando ai vescovi, ai fedeli, e a tutti i "figli" dell'Africa recando "il saluto di tutta la fraternità cattolica". [131]

            Il discorso sulla Chiesa, parte dal principio di "comunione" per descriverla come Corpo Mistico di Cristo, viva e in crescita, radicata nella tradizione che, partendo dagli Apostoli, arriva fino a noi con le sue strutture ed i suoi carismi, missionaria, in dialogo con la cultura, per discernere ciò che è conforme al Vangelo e ciò che deve essere lasciato a testimonianza della novità cristiana, in dialogo ecumenico, con le altre religioni e con quanti promuovono la concordia e la pace.

Cogliamo qualche espressione:

«Due sentimenti riempiono in questo momento il Nostro cuore. Un sentimento di comunione [...] Siamo un'unica famiglia, nel Corpo Mistico di Cristo, la sua Chiesa! [...] Un altro sentimento [...] quello di profondo rispetto per le vostre persone, per la vostra terra, per la vostra cultura [...] Non abbiamo altro desiderio che di promuovere ciò che voi siete: cristiani ed africani [...] Non i Nostri, ma i vostri interessi sono oggetto del nostro ministero apostolico [...]Occorrerà che la vostra anima africana sia imbevuta profondamente dei segreti carismi del Cristianesimo, affinché poi questi si effondano liberamente, in bellezza e sapienza, alla maniera africana. Occorrerà che la vostra cultura non rifiuti, anzi si giovi, di attingere al patrimonio della tradizione patristica, esegetica, teologica della Chiesa cattolica i tesori di sapienza, che possono considerarsi universali, ed in modo speciale quelli che sono più facilmente assimilabili della mentalità africana. Anche l'Occidente ha saputo attingere alle fonti degli scrittori africani, come Tertulliano, Optato di Milevi, Origene, Cipriano, Agostino (cfr. Decr. Optatam Totius n. 16); questo scambio delle più alte espressioni del pensiero cristiano alimenta, non altera l'originalità di una particolare cultura. Occorrerà un incubazione del "mistero" cristiano nel genio del vostro popolo, perché poi la sua voce nativa più limpida e più franca s'innalzi armoniosamente nel coro delle altre voci della Chiesa universale [...] Se voi saprete evitare i pericoli del pluralismo religioso e cioè di fare della vostra professione cristiana una specie di folklorismo locale, ovvero di razzismo esclusivista o di tribalismo egoista, oppure di separatismo arbitrario, voi potrete rimanere sinceramente africani anche nella vostra interpretazione della vita cristiana, voi potrete formulare il cattolicesimo in termini congeniali alla vostra cultura e potrete apportare alla Chiesa cattolica il contributo prezioso e originale della vostra "negritudine». [132]

            E' naturale che questo dinamismo ecclesiale, di cui papa Paolo VI ha tracciato per la Chiesa africana la strada maestra, abbia bisogno sulla linea dell'ES del recupero della coscienza ecclesiale. Così, rivolgendosi ai fratelli Vescovi appena consacrati e a tutta l'assemblea, si espresse: «La nostra parola è estremamente semplice:  ed è la parola "coscienza"». [133]

8.3      Il dialogo con il mondo

            E' la coscienza di essere Chiesa sul versante del dialogo con Dio e del dialogo con il mondo (verticalità e orizzontalità) che rende la Chiesa "responsabile e missionaria". Il dialogo con le altre religioni e con le varie culture,

«Urge oggi come ieri come ai primi tempi del Cristianesimo; e per il fatto che oggi con più chiara intenzione la Chiesa "nulla rigetta di ciò che è vero e santo" nelle  religioni non cristiane, le quali "non raramente riflettono un raggio della verità che illumina tutti gli uomini, ella la Chiesa tuttavia annunzia ed è tenuta incessantemente ad annunciare il Cristo il quale è la Via, la Verità e la Vita (cfr. dich. conciliare Nostra Aetate n. 2) La necessità missionaria rimane. Tutti dobbiamo sostenerla. Un irenismo indifferente circa questa necessità, fondato sull'impossibilità pratica di estendere a tutto il mondo l'azione missionaria, e sulla misericordia divina, a cui nessun limite può essere posto, non è ammissibile dalle esigenze stesse del piano divino rivelato al mondo (cfr. Eph. 1, 9-10) E ancora [...] il cristianesimo [...] è universale, è per tutti. Non si limita né geograficamente, né etnicamente, né culturalmente. E' unico, rigorosamente unico nel suo contenuto essenziale, ma è organico e perciò differenziato nella sua composizione comunitaria; ed è adattabile ed esprimibile in ogni forma di sana, umana cultura. Si parla molto oggi di questo pluralismo nella espressione del Vangelo (cfr. Ad Gentes n. 22) Non si tratta di frazionare la Chiesa di dissociare la sua intima comunione, di svincolare le Chiese locali dall'armonia con le Chiese sorelle, e dalla collegialità che obbliga i pastori della Chiesa ad una fraterna e gerarchica solidarietà; si tratta di ammettere nel concerto corale della medesima unità la cattolicità delle voci differenti come differenti le ha fatte il Signore, lo stampo etnico, la storia locale, l'indole propria, la tradizione culturale». [134]

8.4. Il dialogo ecumenico ed interreligioso

            Non poteva mancare nel contesto di questo viaggio un riferimento al dialogo ecumenico e interreligioso

«Nello spirito di ecumenismo dei Martiri, noi non possiamo risolvere le nostre differenze attraverso una semplice riconsiderazione del passato, o un giudizio su di esso. Invece noi dobbiamo andare avanti nella fiducia che ci verrà data nuova luce per guidarci alla nostra meta. Dobbiamo confidare che ci verrà accordata nuova forza, in modo che in obbedienza al nostro comune Signore, si possa essere tutti in grado di ricevere la grazia dell'unità [...] Un notevole passo avanti nella cooperazione cristiana è il comune sforzo tra le varie confessioni di provvedere versioni facilmente accessibili della Scrittura, quella ricca sorgente dalla quale le menti e i cuori degli uomini traggono il vitale nutrimento della divina Rivelazione. Come il Concilio ha dichiarato, nello stesso Dialogo ecumenico la Sacra scrittura costituisce uno strumento eccellente nella potente mano di Dio per il raggiungimento di quella unità che il Salvatore offre a tutti gli uomini [135] [...] Sì, noi siamo sicuri di essere in comunione con voi, signori rappresentanti dell'Islam, quando noi imploriamo l'Altissimo di suscitare nel cuore di tutti i credenti dell'Africa il desiderio della riconciliazione, del perdono così spesso raccomandato nel Vangelo e nel Corano [...] Come  non assoceremmo noi a questa testimonianza di pietà e di fedeltà dei Martiri cattolici e protestanti la memoria di quei confessori della fede musulmana la cui storia ci ricorda che sono stati i primi, nel 1848, a pagare con la vita, il rifiuto di trasgredire le prescrizioni della loro religione?» [136] .

            E il dialogo,  anche in questa occasione, si apre all'intera umanità, intravista con i confini della Chiesa e quindi della sua missione; questo orizzonte lo ebbe presente nel parlare ai governanti del paese africano:

«Signori! Noi profittiamo anche di questa occasione per  dichiararvi ciò che la Chiesa cattolica fa e ciò che non fa in questo continente, come del resto dovunque ella svolga la sua missione [...] Non temete la Chiesa; essa vi onora , vi educa cittadini onesti e leali, non fomenta rivalità e divisioni, cerca di promuovere la sana libertà, la giustizia sociale, la pace; se essa ha qualche preferenza questa è per i poveri, per l'educazione dei piccoli e del popolo, per la cura dei sofferenti e dei derelitti. La Chiesa non rende estranei i suoi fedeli alla vita civile e agli interessi nazionali, sì bene li educa e li impegna al servizio del bene pubblico [...] Né colonialismo, né neocolonialismo, ma aiuto ed impulso alla gente africana, affinché essa sappia esprimere con il genio suo proprio e con le forze proprie le strutture politiche, sociali, economiche, culturali proporzionate ai suoi bisogni e coordinate con la società internazionale e con la civiltà moderna. Non temete la Chiesa! Ella nulla vi toglie; e vi porta con il suo sostegno morale e pratico l'unica, noi crediamo, la vera, la somma interpretazione della vita umana nel tempo ed oltre il tempo quella Cristiana ». [137]

9.  VIAGGIO NELL'ESTREMO ORIENTE E IN OCEANIA

9.1. La Chiesa e il ministero del Papa spingono al nuovo viaggio

            La Chiesa continua ad essere, anche in questo ultimo viaggio internazionale, anzi intercontinentale, il grande tema che mette in cammino il Papa.

            È la Chiesa intravista nell'ES., la cui struttura formale ricorre continuamente nei tantissimi discorsi: coscienza, rinnovamento, dialogo/missione, e poi i destinatari, sempre però nell'ordine rovesciato rispetto all'Enciclica, non senza intenzionalità; la Chiesa, così pensata nell'ES., nel suo esplicito riferimento alla Mistici corporis, ma aggiornato e reso dinamico e missionario dal concilio, di cui essa era stata lievito e pungolo. È La Chiesa del dopo concilio, che per "mandato" rimane aperta al mondo, alla storia, alle culture in un momento di smarrimento e frantumazione del senso dell'unità del sapere e della possibilità del conoscere, allergico ed insofferente a tutto ciò che ricorda la possibile e avvenuta Rivelazione di Dio nella storia con tutto ciò che ne consegue in ordine alla salvezza.

            Ciò a causa della profonda delusione, che il secolo XX ha riservato proprio sul piano della vicenda umana (le immani tragedie delle guerra), respingendo il pensiero su posizioni dualiste e rifiutando della Chiesa tutto ciò che è legato alla struttura, alla storia perché in realtà è stata dichiarata inammissibile l'Incarnazione.

            Papa Paolo VI, nel suo viaggio, ormai più che settantenne, con parole che abbiamo trovate ancora più accorate e provenienti da intimo tormento, entra nel convivere umano e parla della Chiesa come punto dove Dio ha parlato all'uomo e si è comunicato salvezza, e via che l'uomo può percorrere per un senso terreno ed escatologico della vita.

            Questo, quanto ravvisato nelle sue parole che spiegano il perché del nuovo viaggio.

«Il fatto che il Papa si mette in viaggio non è più una novità [...] il fatto materiale merita poi interesse? [...] Ma non possiamo rinunciare a meditare fin d'ora al significato delle cose, al valore religioso ed umano di questa iniziativa, per il fatto che è da Noi intrapresa in virtù della Nostra missione apostolica. Come Papa ci rechiamo laggiù [...] come vescovo e capo del Collegio episcopale, come Pastore e missionario, come pescatore di uomini, cioè ricercatore di popoli e di gente del nostro globo e del nostro tempo; [...] per avvicinare uomini e istituzioni, per onorare persone che lo meritano: i responsabili; i poveri, i giovani, gli affamati di giustizia e di pace, i soffrenti, i lontani». [138]

            E domandandosi da dove prende le mosse una tale iniziativa, risponde:

«Dal quadro caratteristico dell'economia di Dio, cioè dalla Chiesa che sta storicamente compiendo, quasi a sua insaputa, il disegno cristiano della salvezza [...] Lo scenario è la storia, questa nostra storia, questo nostro tempo, nel quale stiamo cercando "i segni dei tempi" [...] devastato da raffiche di uragano [...] le ideologie moderne, e da qualche fresca brezza di primavera, i soffi dello Spirito, che "soffia dove vuole" Su questo scenario tre personaggi: uno [...], la moltitudine [...] degli uomini d'oggi [...] manca loro qualcosa di essenziale. Chi li può avvicinare? Chi istruire sulla cose necessarie alla vita, quando tante ne conosce di superflue? Chi li può interpretare e può sciogliere in verità i dubbi che li tormentano? Chi svelare ad essi la vocazione, che essi hanno implicita nei loro cuori? [...] Ma ecco un altro personaggio. Piccolo come una formica, debole, inerme, minimo fino alla quantità trascurabile [...] il Papa, che osa misurarsi con gli uomini. Davide e Golia? Altri dirà: Don Chisciotte ... Scena irrilevante. Scena superata. Scena imbarazzante. Scena pericolosa. Scena ridicola. Così  si sente dire! [...] Parla con un tono di certezza tutto suo, [...] l'accento è di verità e di amore [...] è una Parola a sé, una Parola di un Altro [...] Una Persona essenzialmente Parola, un Verbo fatto uomo, il Verbo di Dio [...] E questo è il terzo personaggio della scena del mondo: il personaggio che sovrasta e la occupa tutta là dove gli è fatta accoglienza, per una via distinta, ma non insolita al sapere umano, per via di fede [...] Questo mondo che Tu hai amato [...] tu sei qui, dove la Chiesa, tuo sacramento e tuo strumento, Ti annuncia e Ti porta? [...] Nel Nostro viaggio vuole avere un suo attimo di ineffabile realtà». [139]

            Il 26 novembre, al momento della partenza:

«Andiamo lontano! E' un ordine del Signore [...] E' la missione stessa di Gesù che continua. Pietro e Paolo, con i loro compagni, hanno lasciato la Palestina per andare ai confini del mondo allora conosciuto. E' in nome dello stesso mandato storico, che noi andiamo [...] verso il mondo, e, oggi, verso l'Estremo Oriente». [140]

Quello che era stato il progetto iniziale dell'ES del dialogo, qui diventa lo schema interpretativo della missione da compiere:

«Sarà l'incontro con i Nostri Fratelli nell'Episcopato [...] La Nostra missione si svolgerà nello spirito della Comunione e della Collegialità con i Vescovi di quelle regioni immense per superficie e popolazione. Noi confidiamo che l'unità della Chiesa cattolica ne risulterà rafforzata, ancor più stretto sarà il vincolo della collegialità, ne sarà stimolata l'attività missionaria ed allargata l'intesa con le altre religioni, a servizio del progresso e della pace. In questo contesto, Roma ha una responsabilità particolare. Cuore della Chiesa cattolica, essa non intende imporre l'uniformità, ma essere il punto di convergenza di molteplici espressioni d'una unica fede, come il punto di partenza di principi assicuranti la dimensione cattolica di ciascun credente». [141]

            Lo stesso percorso di pensiero nelle parole all'aeroporto di Teheran, e appena arrivato sul suolo delle Filippine, nella Cattedrale dichiara l'intento della sua venuta:

«E' perché la Chiesa abbia a continuare con rinnovato ardore, la sua opera di salvezza che abbiamo voluto partecipare ai lavori della prima Conferenza dei vescovi di tutta l'Asia». [142]

E dopo aver, attraverso la forma del saluto, agganciato il concetto di Chiesa a quello della tradizione dei missionari che hanno trasmesso il Vangelo fino alla compagine di oggi nella sua ricchezza e vitalità, luogo dove ricreare la coscienza dell'essere Chiesa, richiama la necessità della ristrutturazione dei metodi pastorali, l'adattamento del loro insegnamento.

«Provvidenzialmente la Chiesa universale beneficia in questo momento della ricchezza dottrinale e pastorale, racchiusa nei documenti del Concilio Vaticano II. Noi vi invitiamo con premurosa insistenza ad attingere ad essi l'ispirazione per le vostre iniziative in intima comunione con i vostri Vescovi [...] Quanto più fervida sarà la vostra unione con Cristo, tanto più ricca sarà la vita della Chiesa, e più fecondo il suo apostolato». [143]

9.2      Il dialogo intraecclesiale

            L'allocuzione sulla Chiesa ai Vescovi di tutto il continente, di cui riferiamo le linee di pensiero, presenta ancora una volta con limpidezza la teologia del Papa sulla Chiesa: il suo riferimento a Cristo, il suo aggancio nella tradizione apostolica che innerva sulla storia fino all'oggi che ci vede protagonisti della fede, la necessità di recuperare tale coscienza come premessa del dovuto innovamento perché il mondo possa credere (rinnovamento in prima istanza spirituale, del dialogo con Dio); il conseguente annuncio della fede: la predicazione e l'azione pastorale come adeguamento alle culture; il dialogo con l'umanesimo planetario (fratelli separati, altre religioni) per "lo sviluppo integrale dell'uomo e di tutti gli uomini come conseguenza della fede cristiana":

«Eccoci finalmente qui, Noi siamo felici di questa riunione. Essa è una novità, ma risponde alla natura profonda della Chiesa; essa è sempre stata così; essa è la famiglia dei credenti in Cristo " di ogni nazione che è sotto il cielo" [...] Di questo incontro ci pare degno [...] il significato teologico, che esso manifesta e il mistero che esso realizza: Cristo è qui [...] Per l'intervento della Nostra umile persona alla quale [...] compete per antonomasia il titolo di Vicario di Cristo. Ed è qui Cristo nostro Signore per il ministero apostolico affidato a ciascuno di noi, e per il rapporto collegiale che insieme ci unisce (LG. 21, 22): noi, successori degli Apostoli, noi pastori della Chiesa di Dio, siamo investiti della potestà non solo di rappresentare, ma di rendere presente sulla terra e nel tempo la sua voce e la sua azione salvatrice. Cristo è qui [...] Noi tutti, qui riuniti, siamo i continuatori degli Apostoli, i quali hanno avuto da Cristo stesso il mandato, la potestà, il suo Spirito di perpetuare e di estendere la sua missione.[.] A Noi pare che questa occasione sia per noi propizia per riaffermare la nostra ferma adesione alla dottrina dell'apostolicità della Chiesa; [.]essa è la sorgente prima, autorizzata e responsabile dell'attività missionaria [...] per il bene, per il servizio di tutte le Chiese particolari e dell'intera Chiesa Cattolica [...] La [...] cosa che Noi vi proponiamo è questa: procuriamo di fare nostra guida l'insegnamento del recente Concilio Ecumenico. Esso riassume e convalida il patrimonio della tradizione cattolica e apre la via ad un rinnovamento della Chiesa secondo le necessità e le possibilità dei tempi moderni. Questa aderenza alla dottrina del Concilio [.] moltiplica l'efficienza della nostra azione pastorale e ci difende dagli errori e dalle debolezze di questi giorni in un campo specialmente: quello della fede [...], la quale, come dice il Concilio, deve "adeguarsi al particolare modo di pensare e di agire dei popoli a cui è rivolta (Ad Gentes, 16-18); [...] l'uomo dell'Asia può essere cattolico e rimanere pienamente asiatico [...] La chiesa [...] deve porsi all'avanguardia dell'azione sociale, essa deve tendere tutti gli sforzi per appoggiare, incoraggiare, spingere le iniziative che mirano alla promozione integrale dell'uomo. Testimone della coscienza umana e dell'amore di Dio per gli uomini, essa deve prendere la difesa del debole e del povero contro le ingiustizie sociali». [144]

    Ma si domanda il Papa, durante la Messa al "Quezon Circle"

«Può il cristianesimo generare un vero umanesimo? Può la concezione cristiana della vita imporre un vero rinnovamento sociale? Può essa accordarsi con le esigenze della vita moderna e favorire il progresso e il benessere per tutti? Può il cristianesimo interpretare le aspirazioni di popoli e assumere le tendenze peculiari della vostra civiltà?» [145] .

            La sua risposta rivela ancora una volta non solo il Cristocentrismo ecclesiologico, ma la convinzione che tutto ciò che è autentico è in riferimento a Cristo.

«Il cristianesimo può essere salvezza anche a questo livello terreno ed umano. Cristo ha moltiplicato i pani [...] e continua a compiere questo miracolo [...] promulga [...] il suo grande e sommo precetto della carità. Non esiste alcun fermento sociale più forte [...] Cristo proclama l'eguaglianza e la fratellanza di tutti gli uomini [...] E la libertà autentica e sacra dell'uomo donde deriva, se non dalla dignità umana, di cui Cristo si è fatto maestro? Chi, se non Cristo, ha messo nel cuore dei suoi il genio dell'amore e del servizio per ogni sofferenza e per ogni bisogno dell'uomo?». [146]

9.3. Le vie della Chiesa: il dialogo ecumenico e interreligioso.

            Le vie della Chiesa, il dialogo nelle sue varie espressioni e nelle sue varie direzioni anche in questo ultimo viaggio rivelano la continuità, tensione di un pontificato. Il dialogo con i cristiani non cattolici:

«Noi vi salutiamo nell'amore di Cristo come membri e rappresentanti di varie comunità cristiane. Sebbene le vostre comunità e la Chiesa Cattolica non siano ancora strette dai vincoli della piena unità, tuttavia noi siamo fratelli. Noi partecipiamo alla fede che ci rende sudditi di un solo Signore. Noi riconosciamo un solo Battesimo. La Parola di Dio scritta, la vita della Grazia, la fede, la speranza e la carità, e molti altri doni dello Spirito Santo sono l'eredità comune [...] Noi abbiamo riscoperto quanto c'è di comune nella nostra eredità e perciò ora possiamo pregare insieme. Noi adesso possiamo proseguire nel dialogo e nello studio, in comune, dei problemi teologici. Noi possiamo inoltre, in una forma di cui si sente oggi particolare bisogno, impegnarci a lavorare insieme per promuovere la giustizia a favore di tutti [...] Questo è lo scopo che la Chiesa intende perseguire». [147]

E alla "Tower Hall" [148] :

«Oggi tuttavia è chiaro che l'attività ecumenica è un compito lungo e faticoso. Occorre che onestamente si riconosca il fatto che ci sono alcune differenze nel contenuto, nello sviluppo e nell'espressione della fede [...] che l'indifferentismo dottrinale va respinto e che allo stesso tempo sia evitato il trionfalismo confessionale o una sua parvenza. La storia non può essere cancellata dall'oggi al domani. Non tutti sono in grado di muoversi speditamente come si potrebbe desiderare e le oneste perplessità di coscienze delicate richiedono sempre il nostro rispetto e la nostra comprensione. Il cammino non è facile. L'opera di riconciliazione fu compiuta da Nostro Signore e con la sofferenza della Croce. L'unità alla quale il movimento ecumenico si sforza di servire deve essere acquistata allo stesso prezzo. Poiché tra i Cristiani esistono vincoli di unità, è possibile sia discutere che agire insieme [...] proseguire il cammino dell'ecumenismo, cercare per trovare, trovare per cercare ancora di più».

            Non mancano parole di dialogo verso gli Ebrei.

«Ci è caro ricordare insieme, in questa circostanza, ciò che il Concilio Vaticano II chiamava il vincolo con cui il popolo del Nuovo Testamento è spiritualmente legato con la stirpe di Abramo». [149]

E ancora:

«Noi vogliamo esprimervi il Nostro rispetto e la Nostra stima per la vostra fede in un Dio, creatore dell'universo. E  il rimando al Concilio ancora una volta è immediato». [150]

Parlando poi ai fedeli delle altre religioni, ricordava:

«Posti a capo d'una Chiesa, che si proclama e sa di essere cattolica, cioè universale, il Nostro pensiero, come la Nostra Sollecitudine, non si lascia fermare da alcuna barriera di luoghi, di popoli, o di religioni, ma si estende a tutti gli uomini. A più forte ragione ci sentiamo vicini a coloro che insieme con noi, condividono la ricerca fondamentale del divino e la confidente sottomissione alle leggi del Cielo; coloro che ricercano nella religione una soluzione ai grandi problemi che mettono a confronto e angosciano gli uomini, ma che vi trovano anche la loro forza e la loro speranza. Voi non ignorate, senza dubbio, che  ai nostri giorni la Chiesa ha voluto aprirsi ancor più al contatto fraterno con tutti i popoli di ogni civiltà e di ogni religione, rispettando e ammirando i tesori riposti in ciascuno e invitandoli ad unirsi ad essa in tutto ciò ove sia possibile una collaborazione». [151]

            Nella capitale dell'Indonesia poi, sulle orme di San Francesco Saverio, ha parole ancora più ispirate:

«E' un Paese [il vostro] dove si affiancano molte razze, molte culture, molte religioni; vi si incontrano tutte le grandi credenze del mondo: Musulmani, Buddisti, Indù, Confucianisti e Cristiani; tutte religioni ufficialmente riconosciute dalla Costituzione del Paese, che pone inoltre, come uno dei cinque pilastri della nazione, la fede in una "divina Onnipotenza». [152]

            Cita qui l'ES:

«Noi intendiamo riconoscere con tutto rispetto i valori [153] spirituali e morali, insiti nelle varie confessioni religiose[.] La Chiesa deve venire a dialogo con il mondo, la Chiesa si fa parola, la Chiesa si fa messaggio, la Chiesa si fa dialogo». [154]

Ed invita a guardare la Chiesa e coloro che la rappresentano come persone « che hanno lasciato tutto generosamente per aiutare il vostro paese in tutti i settori che sono in loro potere, vivendo la vostra vita e facendo proprie le vostre usanze ed i vostri interessi. E' la migliore risposta che si possa dare a coloro, che vedono nella Chiesa Cattolica una istituzione prettamente europea. La Chiesa è cattolica, e ciò vuol dire universale, ed essa ne offre in tutti i Paesi la prova che voi avete qui sotto i vostri occhi». [155]

            Il mondo infine, confine della Chiesa, come identificato nell'ES., è guardato come il destinatario del deposito di vita che circola nella Chiesa:

«Come potrà il cattolicesimo, così fermo, così geloso della sua unità, abbracciare tutti gli uomini tanto diversi fra loro? [...] La risposta è data [...] dal recente Concilio, ampiamente e ripetutamente, specialmente nell'ormai famoso Decreto ad Gentes, dove l'unità propria del Cattolicesimo è mossa in armonia con la sua apostolicità, la quale non solo non soffoca quanto vi è di buono e di originale in ogni forma di cultura umana, ma accoglie, rispetta e valorizza il genio di ogni popolo e riveste di varietà e di bellezza l'unica veste inconsutile della Chiesa di Cristo (ad Gentes, 22)». [156]

            E nella messa allo "Stadium" si domanda:

«Perché il Papa è venuto da tanto lontano? Qual è lo scopo del suo viaggio? [...] Noi crediamo con tutta la forza del Nostro spirito che esista nell'umanità un bisogno supremo, primario, insostituibile, che non può essere soddisfatto se non in Gesù Cristo, primogenito fra gli uomini, capo dell'umanità nuova, nel quale ciascuno realizza la sua pienezza, perché "solamente nel mistero del Verbo incarnato si rischiara veramente il mistero dell'uomo" (GS. 22)». [157]

9.4 Il dialogo con il mondo

A conclusione di questa indagine sul permanere nei viaggi del pensiero ecclesiologico e della determinazione pastorale di papa Paolo VI, non le nostre parole, ma ancora le sue:

«Dio ci ha spinto a intraprendere questo viaggio per manifestare, dapprima ai nostri fratelli nella fede la Nostra volontà di comunione con i loro sforzi e le loro pene, la preoccupazione di vedere la Chiesa cattolica compiere la sua missione in armonia con le tradizioni e le civiltà [...]; per esprimere ancora alle anime religiose delle altre confessioni e a tutti gli uomini di buona volontà il grande desiderio della Chiesa Cattolica di offrire la sua collaborazione, nel rispetto, nellacomprensione e stima reciproche, per assicurare gli uomini di queste regioni, e in modo particolare ai giovani e ai poveri, le condizioni di un progresso integrale di quelle risorse che Dio ha posto in loro». [158]

Noi siamo contenti non di aver dimostrato qualcosa, ma di aver incontrato qualcuno che ha usato il linguaggio della Parola o del gesto, anzi di aver fatto di sé un "segno" di quel Dialogo che solo può rompere gli infiniti silenzi di paura tra gli uomini.


INDICE

PRESENTAZIONE                                                                                                       pag.   2

INDICE DELLA TESI                                                                                           pag.   7

ABBREVIAZIONI E SIGLE                                                                               pag.   8

BIBLIOGRAFIA                                                                                                pag.   9

PARTE SECONDA

CAPITOLO II La continuità dell'Ecclesiam Suam nei discorsi dei viaggi intercontinentali                                                                                               pag. 28

1. IL PELLEGRINAGGIO IN TERRA SANTA                                                     pag.  28

            1.1.    Alla partenza da Roma

            1.2.    Betlemme: Cristo, la Chiesa, il mondo

            1.3.    Agli orientali di rito cattolico

            1.4.    Il dialogo ecumenico

            1.5.    Agli abitanti di Gerusalemme: Ebrei e Musulmani

            1.6.    Ancora agli Ebrei

2. IN INDIA PER IL CONGRESSO EUCARISTICO INTERNAZIONALE      pag.  38        

            2.1.    Gli intenti del viaggio

            2.2.    La Chiesa cristiana dell'India

            2.3.    Il dialogo con le altre religioni

            2.4.    Fondamenti teologici

            2.5.    Educare al dialogo le nuove generazioni

3. IL VIAGGIO ALL'ONU                                                                                        pag.  45

            3.1.    Il dialogo con le Nazioni

            3.2.    La Rivelazione cristiana e la storia

            3.3.    L'impegno di tutta la Chiesa

            3.4.    Il Concilio Ecumenico Vaticano II e il dialogo con il mondo                                   contemporaneo

4. IL PELLEGRINAGGIO A FATIMA                                                                   pag.  49

            4.1.    Gli intenti del pellegrinaggio

            4.2.    Il testo dell'omelia e il dialogo intraecclesiale

            4.3.    Il dialogo con le comunità cristiane non cattoliche

5. IL VIAGGIO IN TURCHIA                                                                             pag.  52

            5.1.    Il significato del viaggio

            5.2.    Il dialogo ecumenico

            5.3.    Il dialogo con i Musulmani

            5.4.    Il dialogo interreligioso

6. IL VIAGGIO NEL CONTINENTE LATINO-AMERICANO                                pag.  59

            6.1.    Il significato del viaggio: il dialogo intraecclesiale

6.2.       L'incontro con l'Episcopato: l'azione della Chiesa. Il compito del

          Magistero per un dialogo autentico

7. VISITA AL CONSIGLIO MONDIALE DELLE CHIESE E ALL'OIT            pag.  66

            7.1.    Il senso del viaggio

            7.2.    Il dialogo con il mondo del lavoro

            7.3.    Il dialogo ecumenico

            7.4.    Il ministero di Pietro

8. IL VIAGGIO IN UGANDA                                                                            pag.  73

            8.1.    Il perché del viaggio

            8.2.    Il dialogo intraecclesiale

            8.3.    Il dialogo con il mondo

            8.4.    Il dialogo ecumenico ed interreligioso

9. IL VIAGGIO NELL'ESTREMO ORIENTE E OCEANIA                           pag.  78

            9.1.    La Chiesa e il ministero del Papa spingono al nuovo viaggio

            9.2.    Il dialogo intraecclesiale

            9.3.    Le vie della Chiesa: il dialogo ecumenico e interreligioso

            9.4.    Il dialogo con il mondo

INDICE DELL'ESTRATTO                                                                                   pag.  86

Visto, si approva a norma degli Statuti dell'Università

Relatori:             Prof. Donato Valentini

                          Prof. Gianfranco Coffele

                          Prof. Luis Gallo

Roma, 2 luglio 1998



[1]                 Rimandiamo alla bibliografia per una documentazione più completa. Qui segnaliamo i riferimenti più determinanti la linea di studio: si vedano, in AA.VV., Ecclesiam Suam. Première lettre Encyclique de Paul VI. Colloque international. Rome 24-26 octobre 1980 (Brescia, 1982) 170, l'intervento di D. Valentini e la risposta di G. Colombo: «Bisognerebbe fare una ricerca attenta e precisa per gettare luce nella genesi del pensiero di Paolo VI nell'ES, ma con cautela e rispetto, perchè non bastano gli accostamenti ed il confronto di frasi. E non deve limitarsi ad un'opera di buon filologo: oltre i testi scritti dovrà cercare di penetrare la forma e l'atteggiamento».

[2]                 Un'informazione sul contesto culturale dei fatti è documentata in AA.VV., Paul VI et la modernité dans l'Église. Actes du colloque organisé par l'École française de Rome. Rome 2-4 juin 1983 (Roma, 1983) e in Ph. Levillan (Ed.), Dizionario storico del papato (Milano, 1996) 1096. Levillain registra i discordanti pareri interpretativi del magistero e la messa in rilievo della "cesura profonda e definitiva nel ponticato di Paolo VI" imputata all'enciclica Humanae Vitae, senza che, come negli altri studi consultati, si tenti di individuare la linea conduttrice dell'intero magistero, partendo dal suo pensiero. Costantemente si prende l'avvio dalle reazioni delle contrapposte interpretazioni.

[3]               cfr. D. Valentini, Linguaggio, linguaggio della fede e linguaggio della teologia, in: M. Cimosa, Comunicare la fede. Quali linguaggi? (Roma, 1995) 11-28, dove la tematica è trattata se pur nella brevità, in modo originale ed esaustivo.

[4]               Tra gli studi si vedano in particolare: G. Colombo, Papa Paolo VI ed il Concilio Vaticano II, in "Vita e Pensiero" 46 (1963) 535-554; Id., Ricordando G. B. Montini, Arcivescovo e Papa (Brescia-Roma, 1989) 210; Id., Il senso cristiano della cultura di Paolo VI, in: A. Caprioli - L. Vaccaro (Edd.), Paolo VI e la cultura (Brescia, 1983) 217.

[5]               cfr. AA.VV., Paolo VI e Brescia (Brescia, 1971) 495; AA.VV., G.B. Montini Arcivescovo di Milano e il Concilio Ecumenico Vaticano II. Preparazione e primo periodo. Colloquio internazionale di studio. Milano 23-24-25 settembre 1983 (Brescia-Roma, 1985).

[6] Paolo VI, All. La sua presenza in questo aeroporto, 4 gennaio 1964, in Insegnamenti. II (1964) 47.

[7] Ibidem, 47.

[8] Ibidem, 47-48.

[9] Ibidem, 47-48.

[10] Paolo vi, All. Nous voudrions Nous adresser simplement, 6 gennaio 1964, in Insegnamenti. II (1964) 28 (la traduzione è nostra).

[11] Ibidem, 28-29.

[12] Ibidem, 29.

[13] Ibidem, 29-30.

[14] Ibidem, 30.

[15] Ibidem, 30-31.

[16] Ibidem, 32.

[17] Ibidem, 32.

[18] Ibidem, 32-33.

[19] Ibidem, 33.

[20] Ibidem, 33-34.

[21] Ibidem, 34.

[22] Ibidem, 34

[23] Paolo vi, All. Il y-a près de trois quarts de siècle, 4 gennaio 1964, in Insegnamenti. II (1964) 21 (la traduzione è nostra).

[24] Ibidem, 21-22.

[25] Ibidem, 22.

[26] Paolo VI, All. Nous sommes heureux de povoir, 4 gennaio 1964, in Insegnamenti. II (1964) 42 (la traduzione è nostra).

[27] Idem, All. Recevez Notre salutation, 4 gennaio 1964, in Insegnamenti. II (1964) 51 (la traduzione è nostra).

[28] Ibidem, 51-52.

[29] Ibidem, 52.

[30] Idem, All. L'accueil plein de déférence, 5 gennaio 1964, in Insegnamenti. II (1964) 52-53.

[31] Idem, Enc. Ecclesiam Suam, 6 agosto1964, in AAS 56 (1964) 609-659.

[32] Idem, All. In quest'ora, 2 dicembre 1964, in Insegnamenti. II (1964) 684.

[33] Idem, Hom. As We Look, 4 dicembre 1964), in Insegnamenti. II (1964) 712 (la traduzione è nostra).

[34] Ibidem, 713.

[35] Ibidem, 713-714.

[36] Idem, All. Nous sentons en Notre coeur, 3 dicembre 1964), in Insegnamenti. II (1964) 696.

[37] R. Latourelle, La specificité de la révélation chrétienne (Roma 1971) 42.

[38] Ibidem, 46.

[39] Ibidem, 46.

[40] Paolo VI, All. This Visit To India, 3 dicembre 1964, in Insegnamenti. II (1964) 693-694.

[41] Cfr. C. Porro, Chiesa, mondo e religioni; prospettive di eccesiologia (Leumann, 1995); L. Sartori, Teologia delle religioni non cristiane (Bologna, 1977); R. Latourelle, La Révélation comme dialogues dans "Ecclesiam Suam", in "Gregorianum" 46 (1965) 834-839; R. Latourelle - R. Fisichella (Edd.), Dizionario di Teologia fondamentale (Assisi, 1990).

[42] Paolo VI, Hom. Having Come To This Hospitable, 4 dicembre 1964, in Insegnamenti. II (1964) 704  (la traduzione è nostra).

[43] Idem, All. My Dear Children, 4 dicembre 1964), in Insegnamenti. II (1964) 707-708 (la traduzione è nostra).

[44] Idem, All. I Have the Greatest Joy, 4 dicembre , in Insegnamenti. II (1964) 708 (la traduzione è nostra).

[45] Idem, Enc. Ecclesiam Suam, 644.

[46] Ibidem, 654.

[47] Durante la 132ª congregazione generale (21 settembre 1965), il Segretario generale Mons. Felici comunica che il Papa vuol essere accompagnato a New York da una rappresentanza del Concilio; subito indica i nomi dei Padri designati e suggerisce di ringraziare il Papa di aver voluto una delegazione conciliare per questa missione di pace. Durante la 142ª congregazione generale (5 ottobre 1965), il Papa rientrando da New York è accolto con la delegazione nell'aula Conciliare con una allocuzione del Card. A. Liénart, Presidente del Consiglio di presidenza, che chiede che il discorso all'ONU sia inserito negli Atti del Concilio. Significativamente i cardinali che lo accompagnarono erano in rappresentanza dei cinque continenti e dell'oriente e occidente cristiano.

[48] Idem, Ang. Noi crediamo di non, 3 ottobre 1965, in Insegnamenti. III (1965) 523.

[49] Idem, All. Sull'atto di intraprendere il nostro viaggio, 4 ottobre 1965, in Insegnamenti. III (1965) 524-525.

[50] Idem, All. Au moment de prendre la parole, 4 ottobre 1965, in Insegnament. III (1965) 523.

[51] Idem, Enc. Ecclesiam Suam, 613.

[52] Ibidem, 613-614.

[53] Acta Synodalia. IV, I, 36-38.

[54] Paolo VI, Ud. Oggi il breve discorso, 3 maggio 1967, in Insegnamenti. V (1967) 229.

[55] Idem, Enc. Ecclesiam Suam, 636.

[56] Idem, Ud. Oggi il breve discorso, 230.

[57] Idem, Hom. Tão grande é o Nosso, 13 maggio 1965),in Insegnamenti. V (1967) 237.

[58] Ibidem, 237.

[59] Ibidem, 237.

[60] Ibidem, 238.

[61] Ibidem, 239.

[62] Idem, Enc. Ecclesiam Suam, 646-647.

[63] Ibidem, 652.

[64] Ibidem, 654.

[65] Idem, Hom. Tão grande é o Nosso, 236-239.

[66] Idem, All. Nous sommes heureux de vous saluer, 13 maggio 1967, in Insegnamenti. V (1967) 242.

[67] Idem, All. Vi salutiamo con sincera devozione, 15 luglio 1967, in Insegnamenti. V (1967) 383-384.

[68] Ibidem, 384.

[69] Idem, All. With Heartfelt Good Wishes, 25 luglio 1967, in Insegnamenti. V (1967) 397-398 (la traduzione è nostra).

[70] Idem, Enc. Ecclesiam Suam, 617.

[71] Idem, All. Anno ineunte, quem a fide appellavimus, 25 luglio 1967, in Insegnamenti. V (1967) 393-395.

[72] Idem, All. Nous tenons á vous dire, 25 luglio 1967, in Insegnamenti. V (1967) 398-399.

[73] cfr. P. Rossano, Les grands documents de l'Église catholique au sujet des Musulmans (Roma, 1981).

[74] Paolo vi, Homelie de Pentecôte, in "La Documentation Catholique" 1425 (1964), 697.

[75] Idem, Allocuzione al Sacro Collegio, in "La Documentation Catholique" 1427 (1964) 813-914.

[76] Idem, All. How Can We, 1 agosto 1969, in Insegnamenti. V (1969) 582-583.

[77] Idem, All. How Can We, 582

[78] Idem, All. We Are Happy, 3 dicembre 1970, in Insegnamenti. VIII (1970) 1371.

[79] cfr. M. Lelong, Guerre ou paix á Jerusalem (Paris 1982) 117-120.

[80] Paolo VI, Ud. Il Nostro animo è ancora, 2 agosto 1967, in Insegnamenti. V (1967) 412-413.

[81] Idem, Ud. Quest'oggi avremo per tema, 8 agosto 1968, in Insegnamenti. VI (1968) 345.

[82] Ibidem, 345-346.

[83] Ibidem, 347.

[84] Idem, Enc. Ecclesiam Suam, 658.

[85] Idem, Ud. Voi sapete che domani mattina, 21 agosto 1968, in Insegnamenti. VI (1968) 351-352.

[86] Idem, Ang. In questa settimana, 18 agosto 1968, in Insegnamenti. VI (1968) 352.

[87] Idem, All. Prima di partire, 22 agosto 1968, in Insegnamenti. VI (1968) 354-355.

[88] Idem, Hom. Señor Jesús!, 22 agosto 1968, in Insegnamenti. VI (1968) 368-369.

[89] Idem, Enc. Ecclesiam Suam, 647

[90] Idem, All. Benedicamus Domino!, 24 agosto 1968, in Insegnamenti. VI (1968) 417-418.

[91] Ibidem, 419.

[92] Ibidem, 418-419.

[93] Ibidem, 419.

[94] Ibidem, 419-420.

[95] Ibidem, 423-424.

[96] Ibidem, 422.

[97] Idem, Enc. Ecclesiam Suam, 649.

[98] P. Poupard, L'enseignement social de Paul VI, in: AA. VV., Paul VI et la modernité dans l'Église. Actes du colloque organisé par l'Ecole francais de Rome, 2-4 juin 1983 (Roma, 1983) 72.

[99] Paolo VI, All. Nous ne pouvons quitter, 10 giugno 1969, in Insegnamenti. VII (1969) 420.

[100] Idem, Enc. Ecclesiam Suam, 650.

[101] Idem, All. C'est pour Nous un honneur, 10 giugno 1969), in Insegnamenti. VII (1969) 366.

[102] Ibidem, 368.

[103] Ibidem, 366.

[104] Ibidem, 368.

[105] Ibidem, 369-370.

[106] Ibidem, 372.

[107] Ibidem, 373.

[108] Ibidem, 374.

[109] Ibidem, 374.

[110] Ibidem, 376.

[111] Ibidem, 376.

[112] Idem, All. Nous apprécions beaucoup, 10 giugno 1969, in Insegnamenti. VII (1969) 400.

[113] Ibidem, 400-401.

[114] Ibidem, 400.

[115] Ibidem, 400.

[116] Ibidem, 399.

[117] cfr. P. Torrell, Paul VI et l'ecclesiologie de "Lumen Gentium", in: AA. VV., Paolo VI e i problemi ecclesiologici al Concilio. Colloquio internazionale di studio. Brescia, 19-20-21 settembre 1986 (Brescia, 1989) 174-186.

[118] cfr. Ibidem, 179: "La questione allora si pone: Qual è la parte di Paolo VI in questi testi? Gli sono suggeriti dai suoi consiglieri in ecumenismo?".

[119] Ibidem, 182.

[120] Paolo VI, Enc. Ecclesiam Suam, 611.

[121] Ibidem, 612.

[122] Idem, All. Nous apprécions beaucoup, 399.

[123] Ibidem, 399.

[124] Idem, All. Nous ne pouvons venir, 10 giugno 1969), in Insegnamenti. VII (1969) 413.

[125] Idem, Ang. Figli carissimi, vedo i vostri cartelli, 3 agosto 1969, in Insegnamenti. VII (1969) 606-607.

[126] Idem, Enc. Ecclesiam Suam, 613.

[127] Idem, Ud. Vi daremo, 19 marzo 1969, in Insegnamenti. VII (1969) 515.

[128] Idem, Ang. Vogliamo oggi, 27 luglio 1969, in Insegnamenti. VII (1969) 517.

[129] Idem, Ud. Domani, a Dio, 30 luglio 1969, in Insegnamenti. VII (1969) 519.

[130] Ibidem, 520-522

[131] Idem, All. To All of You, 31 luglio 1969, in Insegnamenti. VII (1969) 532.

[132] Ibidem, 532-535.

[133] Idem, All. Our Discorse, 1 agosto 1969, in Insegnamenti. VII (1969) 544.

[134] Idem, Ud. Noi non possiamo, 6 agosto 1969, in Insegnamenti. VII (1969) 611-612.

[135] Idem, All. From Its, 2 agosto 1969, in Insegnamenti. VII(1969) 591-592.

[136] Idem, All. How Can We, 1 agosto 1969, in Insegnamenti. VII (1969) 582.

[137] Idem, All. It May Be Well, 1 agosto 1969, in Insegnamenti. VII (1969) 555-556.

[138] Idem, Ud. Sembra a noi, 25 novembre 1970, in Insegnamenti. VIII (1970) 1174.

[139] Ibidem, 1175-1177.

[140] Idem, All. Al momento di partire, 26 novembre 1970, in Insegnamenti. VIII (1970) 1179.

[141] Ibidem, 1179-1180.

[142] Idem, Hom. We Have Just, 27 novembre 1970, in Insegnamenti. VIII (1970) 1195.

[143] Ibidem, 1196.

[144] Idem, All. Venerables Brothers, 28 novembre 1970, in Insegnamenti. VIII (1970) 1218-1223.

[145] Idem, Hom. I Paul the Successor of Saint Peter, 29 novembre 1970, in Insegnamenti. VIII (1970) 1242.

[146] Ibidem, 1243.

[147] Idem, All. We Great You, 28 novembre 1970, in Insegnamenti. VIII (1970) 1270-1271.

[148] Idem, All. It Is With Great, 2 dicembre 1970, in Insegnamenti. VIII (1970) 1338-1339.

[149] Idem, All. We Were Pleased, 28 dicembre 1970, in Insegnamenti. VIII (1970) 1272.

[150] Ibidem, 1272

[151] Idem, All. Your desire, 28 dicembre 1970, in Insegnamenti. VIII (1970) 1274.

[152] Idem, All. We Are Happy, 3 dicembre 1970 in Insegnamenti. VIII (1970) 1371.

[153] Idem , Enc. Ecclesiam Suam, 655.

[154] Ibidem, 639.

[155] Idem, All. We Are Happy, 1371-1372.

[156] Idem, All. We Have Come, 1 dicembre 1970, in Insegnamenti. VIII (1970) 1310.

[157] Idem, Hom. It Is a Great Joy, 3 dicembre 1970, in Insegnamenti. VIII (1970) 1382.

[158] Idem, All. At The End of This, 4/5 dicembre 1970, in Insegnamenti. VIII (1970) 1400.

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-, All. This visit to India, 3 dicembre 1964, in Insegnamenti. II (1964) 693-695.

-, All. Nous sentons en Notre coeur, 3 dicembre 1964, in Insegnamenti. II (1964) 696-698.

-, Hom. Having come to this hospitable, 4 dicembre 1964, in Insegnamenti. II (1964) 703-704.

-, All. My dear Children, 4 dicembre 1964, in Insegnamenti. II (1964) 707-708.

-, All. I have the greatest joy, 4 dicembre 1964, in Insegnamenti. II (1964) 708-709.

-, Hom. As We Look, 4 dicembre 1964, in Insegnamenti. II (1964) 712-714.

-, All. Although Our pilgrimage, 4 dicembre1964, in Insegnamenti. II (1964) 716-717.

-, Ud. Voi che venite a visitarci, 9 dicembre1964, in Insegnamenti. II (1964) 734-736.

-, All. Siate i benvenuti, 21 maggio 1965, in AAS 57 (1965) 526-530.

-, All. Discorso per il dono di due leoncini provenienti dall'India e da lui destinati a Brescia, 11 giugno 1965, in Insegnamenti. III (1965) 1237.

-, All. Vi ringraziamo, 24 giugno 1965, in AAS 57 (1965) 526-530.

-, Ud. La Vostra visita Noi, 2 luglio 1965, in Insegnamenti. III (1965) 997-999.

-, Ud. Tema di, 14 luglio 1965, in Insegnamenti. III (1965) 983-986.

-, Ud. Abbiamo parlato, 11 agosto 1965, in Insegnamenti. III (1965) 1006-1010.

-, Ang. Noi crediamo di non, 3 ottobre 1965, in Insegnamenti. III (1965) 523.

-, All. Sull'atto di intraprendere il nostro, 4 ottobre 1965, in Insegnamenti. III (1965) 524-525.

-, All. Au moment de prendre, 4 ottobre 1965, in Insegnamenti. III (1965) 507-523.

-, Ud. La parola, 24 novembre 1965, in Insegnamenti. III (1965) 1105-1107.

-, Ud. L'incontro, 4 maggio 1966, in Insegnamenti. IV (1966) 763-765.

-, Ud. Anche voi certamente, 22 luglio 1966, in Insegnamenti. IV (1966) 821.

-, All. Noi siamo, 28 ottobre 1966, in AAS 58 (1966) 1155-1162.

-, All. Voluimus, 16 novembre 1966, in AAS 58 (1966) 899-901.

-, Ud. Oggi il breve discorso, 3 maggio1967, in Insegnamenti. V (1967) 229-231.

-, Hom. Tão grande é o Nosso, 13 maggio 1967, in Insegnamenti. V (1967) 232-239.

-, All. Agradecemos sensibilizado, 13 maggio 1967, in Insegnamenti. V (1967) 240-241.

-, All. Nous sommes heureux de vous saluer, 13 maggio 1967, in Insegnamenti. V (1967) 242-250.

-, All. Soyez les bienvenus, 24 maggio 1967, in Insegnamenti. V (1967) 254-255.

-, All. Vi salutiamo con sincera devozione, 15 luglio 1967, in Insegnamenti. V (1967) 383-387.

-, All. Anno ineunte, quem a fide appellavimus, 25 luglio 1967, in Insegnamenti. V (1967) 393-395.

-, All. With heartfelt good wishes, 25 luglio 1967, in Insegnamenti. V (1967) 397-398.

-, All. Nous tenons á vous dire, 25 luglio 1967, in Insegnamenti. V (1967) 398-402.

-, Ud. Il nostro animo è ancora, 2 agosto 1967, in Insegnamenti. V (1967) 410-413.

-, Ud. Bastino le brevi, 29 agosto 1967, in Insegnamenti. V (1967) 433-438.

-, NSc. Africae terrarum, 29 ottobre 1967, in AAS (1967) 1073-1097.

-, Ud. Fra tutti, 3 aprile 1968, in Insegnamenti. VI (1968) 760-763.

-, Ud. Vengono, 12 giugno 1968, in Insegnamenti. VI (1968) 817-821.

-, Ud. Che cosa attendere, 10 luglio 1968, in Insegnamenti. VI (1968) 853-859.

-, Ud. Quest'oggi avremo per tema, 5 agosto 1968, in Insegnamenti. VI (1968) 345-346.

-, Ang. In questa settimana, 18 agosto 1968, in Insegnamenti. VI (1968) 352.

-, Ud. Voi sapete che domani mattina, 21 agosto 1968, in Insegnamenti. VI (1968) 351-352.

-, Hom. Ante todo, hagamos, 24 agosto 1968, in Insegnamenti. VI (1968) 400-402.

-, All. Benedicamus Domino!, 24 agosto 1968, in Insegnamenti. VI (1968) 403-425.

-, Ud. In questi giorni, 22 gennaio 1969, in Insegnamenti. VII (1969) 852-855.

-, All. C'est pour nous un honneur, 10 giugno 1969, in Insegnamenti. V (1969) 366-376.

-, All. Nous apprécions beaucoup, 10 giugno 1969, in Insegnamenti. VII (1969) 399-401.

-, All. Nous ne pouvons venir, 10 giugno 1969, in Insegnamenti. VII (1969) 413-416.

-, All. Nous ne pouvons quitter, 10 giugno 1969, in Insegnamenti. VII (1969) 420-422.

-, Ud. È nostro desiderio, 2 luglio 1969, in Insegnamenti. VII (1969) 994-998.

-, All. It may be well, 1 agosto 1969, in Insegnamenti. VII (1969) 547-559.

-, All. How can We, 1 agosto 1969, in Insegnamenti. VII (1969) 581-583.

-, Ang. Figli carissimi, vedo i vostri cartelli, 3 agosto 1969, in Insegnamenti. VII (1969) 606-607.

-, Ud. Noi non possiamo, 6 agosto 1969, in Insegnamenti. VII (1969) 609-612.

-, Ud. L'incontro con tanti, 24 settembre 1969, in Insegnamenti. VII (1969) 1069-1072.

-, Ud. Noi andiamo cercando, 28 gennaio 1970, in Insegnamenti. VIII (1970) 78-81.

-, Ud. Che cosa significa, 13 maggio 1970, in Insegnamenti. VIII (1970) 485-492.

-, All. La religione?, 12 agosto 1970, in Insegnamenti. VIII (1970) 780-785.

-, All. L'homme existe -t- il?, 12 settembre 1970, in AAS 62 (1971) 602-609.

-, All. Siamo particolarmente, 25 settembre 1970, in AAS 62 (1970) 615-619.

-, All. Discorso al pellegrinaggio della diocesi di Brescia, 26 settembre 1970, in Insegnamenti. VIII (1970) 944-945.

-, All. Venerable Brothers, 28 novembre 1970, in AAS 63 (1971) 21-27.

-, Hom. Paul, the successor of Saint Peter, 29 novembre 1970, in Insegnamenti. VIII (1970) 1237-1241.

-, NRad. To you the countless, 29 novembre 1970, in Insegnamenti. VIII (1970) 1245-1252.

-, All. It is with great joy, 2 dicembre 1970, in Insegnamenti. VIII (1970) 1336-1339.

-, Hom. It is a great joy, 3 dicembre 1970, in Insegnamenti. VIII (1970) 1380-1383.

-, All. At the end of this, 4 dicembre 1970, in Insegnamenti. VIII (1970) 1399-1400.

-, All. Quinque iam anni transacti, 8 dicembre 1970, in AAS 63 (1971) 97-106.

-, All. Nous sommes heureux de cette, 18 marzo 1971, in AAS 63 (1971) 282-286.

-, Ud. Noi lasciamo, 6 ottobre 1971, in Insegnamenti. IX (1971) 856-859.

-, All. Solleviamo un istante, 5 marzo 1973, in AAS 6 (1973) 207-211.

-, Ud. Una parola fortunata, 27 giugno 1973, in Insegnamenti. IX (1973) 656-661.

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-, Ud. Noi non usciremo, 28 agosto 1974, in Insegnamenti. XII (1974) 764-769.

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-, All. Siamo lieti di accogliervi, 4 novembre 1975, in Insegnamenti. XIII (1975) 1228-1230.

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2.1.4.7 Paolo VI a Ginevra

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2.1.4.8 Paolo VI in Uganda

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2.1.4.9 Paolo VI Estremo Oriente e Oceania

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